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Bersani prende un altro schiaffo dalla pattuglia dei Radicali

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Spessosi tratta di momenti di fortuna. O di sfortuna. Se, ad esempio, Roberto Baggio avesse segnato il suo rigore durante la finale dei Mondiali del 1994, oggi non avremmo un ragazzino di 17 anni che gioca e segna in Brasile e che il padre ha deciso di chiamare Roberto Baggio proprio in «onore» di quell'episodio che consegnò alla Seleçao la Coppa del Mondo. Ebbene, se nel 2008 Walter Veltroni non avesse deciso di imbarcare sei Radicali nelle liste del Pd alla Camera (posti sicuri, s'intende), oggi Pier Luigi Bersani non sarebbe costretto a prendere schiaffi ad ogni delicato passaggio parlamentare. La matematica è una scienza esatta e, proprio per questo, impietosa. L'ex sottosegretario Pdl Nicola Cosentino non finirà in carcere. La richiesta dei magistrati campani è stata respinta 309 a 298. Undici voti di differenza. Un numero maledetto per Bersani. Il segretario del Pd avrebbe preferito perdere la sua battaglia con 20, 30 voti di scarto. Piuttosto 12, ma 11 no. Perché questo significa che al netto delle assenze - giustificate - dei Democratici (mancavano Beppe Fioroni e Giovanni Sanga entrambi ricoverati in ospedale), i sei Radicali sono risultati ancora una volta decisivi. Avessero votato a favore dell'arresto sarebbe finita 304 sì a 303 no. Certo, nel segreto dell'urna, i favorevoli si sono trasformati in contrari e viceversa. Qualcuno dà la responsabilità ai leghisti, altri puntano il dito sull'Udc, altri ancora su dissidenti democratici. Ma a verbale resterà per sempre che la pattuglia radicale ha fatto la differenza. Sia chiaro, non si tratta di una sorpresa. Già in Giunta per le Autorizzazioni Maurizio Turco aveva votato no spiegando che, a suo avviso, la richiesta del tribunale del Riesame mostrava un «obiettivo fumus persecutionis». Decisione coerentemente confermata ieri. E infatti, quando lo stesso Turco ha preso la parola in Aula, nessun collega del Pd ha battuto ciglio. Comportamento ben diverso da quello tenuto lo scorso 14 ottobre quando i Radicali avevano deciso di entrare in Aula (il resto dell'opposizione era rimasta fuori nel tentativo di far mancare il numero legale e mostrare che la maggioranza non era più tale numericamente) per votare contro la fiducia al governo Berlusconi. In quell'occasione alcuni democratici avevano pubblicamente «processato» i dissidenti, mentre Rosy Bindi, replicando ad un ironico Maurizio Lupi («i voti, sono voti»), consegnava alla storia il suo raffinato pensiero: «I voti sono voti, ma gli stronzi sono stronzi. E galleggiano anche senz'acqua». Anche stavolta è Rosy a scagliarsi contro i Radicali: «Dal punto di vista numerico sono stati determinanti. Se avessero votato con il gruppo cui appartengono non sarebbe andata così. Quindi non posso che sottolineare ancora una volta la scorrettezza del loro comportamento». Più triste e poetico il commento del capogruppo democratico alla Camera Dario Franceschini: «Purtroppo dobbiamo constatare che il voto dei Radicali, motivato politicamente, è stato determinante. È un'altra ferita». Ne approfitta per girare il coltello nella piaga il suo omologo del Pdl Fabrizio Cicchitto: «I dirigenti del Pd sono molto singolari. Imputano ai Radicali di fare i Radicali. Ma nel momento in cui decidevano di metterli in lista e di eleggerli nelle loro fila non lo sapevano forse che una delle loro componenti essenziali è il garantismo?» Bersani forse dovrebbe chiederlo a Veltroni.

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