Referendum tra bocciatura e terza via

«Ero in rispettosa attesa, adesso la mia attesa è diventata fiduciosa». Arturo Parisi, componente del comitato promotore del referendum che intende abrogare l'attuale legge elettorale, è ottimista. La Corte costituzionale ha rinviato la decisione sull'ammissibilità dei quesiti. Ai quindici giudici della Consulta non sono bastate le quasi sei ore di camera di consiglio di ieri per pronunciare il verdetto. I magistrati hanno scelto di concedersi ancora una notte per pensare al destino da riservare al Porcellum. La discussione riprenderà stamattina alle 9.30. È possibile che la stanchezza abbia prevalso sulla volontà di fare presto (l'età media dei componenti della corte è di 71 anni), oppure che la discussione abbia preso una piega più articolata di quanto ci si aspettasse. E, soprattutto, che siano rimaste le divergenze di opinione sulla decisione da adottare, con i giudici schierati quasi alla pari tra favorevoli e contrari al referendum, e - secondo indiscrezioni - con i secondi leggermente più numerosi dei primi. Dalle 9.30 alle 11, dopo l'introduzione del giudice relatore Sabino Cassese, i professori arruolati come difensori dei due quesiti dal Comitato promotore del referendum - rappresentato a palazzo della Consulta dal presidente Andrea Morrone, da Arturo Parisi e dal leader Idv Antonio Di Pietro - hanno svolto le loro arringhe. Il drappello composto da Alessandro Pace, Vincenzo Palumbo, Nicolò Sandulli e Federico Sorrentino che hanno perorato il disco verde per il primo quesito, quello che, più arditamente - e, secondo i più, con risicatissime possibilità di farcela - chiede l'abrogazione totale della Calderoli. Le maggiori speranze dei referendari, non è un segreto, sono però affidate al secondo quesito, che prevede l'abrogazione per parti della contestata legge elettorale. Il dream-team di Pace e Palumbo non ha lesinato energie. «Il principio di ragionevolezza che funzionava con il Mattarellum, non funziona con la legge attuale. Il premio di maggioranza e le liste bloccate espropriano il diritto di voto», ha spiegato Pace. Secondo il professore, se passa il referendum, «non si verificherebbe alcun vuoto normativo: si riespanderebbe la legge precedentemente in vigore». Ammettere la richiesta di abrogazione firmata da oltre un milione 200mila firme o bocciarla. O magari far sopravvivere solo uno dei due questiti. Le tesi sui possibili verdetti si sono rincorse durante il giorno. Ai giudici, poi, ieri è stata presentata a sorpresa dai legali dell'Associazione dei giuristi democratici, Paolo Solimeno e Pietro Adami (che si sono costituiti in giudizio con un «atto di intervento») «una posizione terza». Ai fautori della tesi referendaria della «reviviscenza» o «riespansione», i quali sostengono che - abrogata la Calderoli - non si avrebbe un vuoto normativo che impedirebbe di votare, ma «risorgerebbe» la precedente normativa, il Mattarellum, i giuristi democratici obiettano che «l'effetto Lazzaro» non ci può essere. «Altrimenti - spiegano - proponendo un referendum contro l'ergastolo, paradossalmente si rischierebbe di far rivivere la pena di morte». Pur appoggiando la via delle urne, la richiesta di Solimeno e Adami alla Consulta è stata quella di dichiarare l'incostituzionalità della legge sul referendum nella parte in cui consente al presidente della Repubblica la possibilità di differire solo di 60 giorni l'efficacia degli esiti referendari. Serve un termine più largo - sostengono - per consentire al Parlamento di mettere a punto una nuova legge elettorale, posticipando l'effetto abrogativo «fino all'entrata in vigore della nuova disciplina». Solimeno è ottimista: «Il rinvio fa ben sperare. Della reviviscenza i giudici sapevano già, magari la "terza via" li ha incuriositi».