Dietro l'orrore la sfida al potere giallo
Le Forze dell'Ordine che indagano si dicono fiduciose di assicurare presto alla giustizia i balordi assassini, che potrebbero essere anche italiani o addirittura romani e che avrebbero tentato di rapinare la famigliola, ma a causa delle inaspettate resistenze, avrebbero sparato il fatale colpo di pistola e si sarebbero dati ad una scomposta fuga, liberandosi del corpo del reato, addirittura di tutto il «malloppo» seminando di tracce il loro percorso. Abbiamo il massimo rispetto per i nostri investigatori, tuttavia pensiamo che chiunque possa trovare in questa versione varie contraddizioni e mostri difficoltà a capire cosa è veramente successo, per questo riteniamo utile proporre una diversa ipotesi basata su diverse chiavi di lettura dell'efferato delitto. Innanzitutto bisogna provare a ragionare, sempre per ipotesi, ribaltando il primo inevitabile sospetto e quindi pensando che i due aggressori abbiano, almeno in parte, eseguito un ben organizzato disegno criminoso. Se così fosse, come si potrebbe inquadrare questo tragico evento? Tutti ormai concordano che a Roma, in quest'ultimo anno, si stia manifestando un'esacerbazione della criminalità che ha comportato una quarantina di omicidi, per alcuni si tratta del fallimento della politica della sicurezza portata avanti con convinzione dal sindaco Gianni Alemanno e della ripresa di attività disperate e solitarie di singole bande da strada prive di professionalità criminale e per questo ancor più imprevedibili e pericolose. Per altri, e questa è anche la mia convinzione, il problema è invece rappresentato dal fatto che la città di Roma, e non solo questa, da sempre crocevia di traffici e di rotte internazionali delle attività più nefaste del sistema criminale delle mafie e delle guerre, stia diventando l'epicentro di un'attività di destabilizzazione politico-sociale e di stabilizzazione criminale che coinvolge i vertici criminali del nostro sistema italiano. È in questo quadro che bisognerebbe collocare quest'ultimo episodio di apparentemente cieca violenza. Ma se così fosse, perché esso sarebbe avvenuto e cosa vorrebbe dimostrare? Possiamo provare a rispondere semplicemente ragionando sulla scelta delle vittime: una famigliola cinese ben integrata e conosciuta nella propria e nella nostra comunità. Tutti sanno che la comunità cinese è molto autonoma e poco permeabile ad eventuali intrusioni italiane. Essa vive dovunque, a Milano, come a Roma, come a Prato o in altre cento città, raggruppandosi in aree omogenee, svolgendo lavori ben determinati di tessitura, sartoria, restaurazione, commercio in cui eccelle, rifiutando matrimoni misti e persino mantenendo tali aree così misteriose da dar luogo in continuazione al perpetuarsi di numerose leggende metropolitane sulla propria salute, sulla propria morte etc. Noi abbiamo in comune con loro l'importanza del ruolo sociale che spetta alla famiglia e l'attitudine a generare e ad utilizzare mafie: noi, la «mafia», la «'ndrangheta» e la «camorra» e loro, le «triadi» e le «tongue». Secondo il rapporto annuale della Caritas dei circa 45.000 asiatici presenti nella provincia di Roma, almeno 15.000-20.000 sono cinesi e si raggruppano nei quartieri Esquilino, Pigneto, Casilino e Prenestino. L'immigrazione cominciata negli anni '80, sin dall'inizio, come la Dia (Direzione Investigativa Antimafia) ebbe a dimostrare, ha inevitabilmente interessato le triadi che si diffusero in maniera capillare in tutto il globo, seguendo i flussi immigratori verso gli Stati Uniti e l'Europa. In particolare le triadi, che sin dagli anni '90 gestiscono in apparente accordo con il sistema criminale italiano il traffico di clandestini, lo sfruttamento di manodopera a costo zero negli esercizi commerciali collegati alla malavita, la falsificazione di prodotti di consumo - sia nel campo dell'abbigliamento che nel campo alimentare - la contraffazione dei documenti - passaporti, permessi di soggiorno - il gioco d'azzardo, le estorsioni, lo sfruttamento della prostituzione. Negli ultimi tempi oltre al «grande balzo» nel campo della prostituzione, ove il volume d'affari è stato calcolato in almeno 10.000.000 di euro l'anno, si sarebbe verificato un «boom» proprio nel campo del «Money transfer», una sorta di sistema bancario autogestito che assicurerebbe il riciclaggio di almeno un miliardo di euro all'anno e la disponibilità anche in contanti di grandi risorse economiche e finanziarie. Stupisce non poco il fatto che, nonostante la ricchezza e l'attività del sistema criminale delle triadi in Italia, finora non si siano quasi mai fatti registrare conflitti interni alla malavita cinese o tra gangster cinesi e italiani, ma al contrario si sono registrate forme di collaborazione come quelle illustrate da Saviano in «Gomorra» e che, al di fuori di morti bianche sul lavoro o di altri tragici incidenti, abbiamo memoria solo dei due cinesi che nel 2007 rimasero vittime di una sparatoria tra loro a Milano e degli scontri che qualche giorno prima, sempre a Milano, la comunità cinese aveva avuto con la Polizia. A Roma fino ad oggi nessun cinese era stato mortalmente aggredito. Per quest'ultima considerazione ciò che è avvenuto ci sembra assai grave e se fosse avvenuto deliberatamente, come sembra, sarebbe forse troppo peregrino immaginare che qualcuno sia interessato a minacciare fortemente la comunità cinese? O a sfidare il potere e il controllo delle triadi per pretendere nuovi accordi e per imporre il proprio punto di vista sulla distribuzione dei vantaggi economici? Cosa altro potrebbe significare la determinazione criminale di uccidere senza arretrare neanche davanti a un bambino di pochi mesi? E soprattutto il gettare via la borsa con tutto il suo contenuto in contanti che avrebbe fatto gola a qualunque balordo, ma che solo uno «scrupoloso» bandito fedele a un clan, non avrebbe toccato? E quale altro potrebbe essere il messaggio mafioso se non quello di dire: vogliamo molto di più dei tuoi pochi soldi. Non ti uccidiamo per rapina, ma per incutere terrore a una comunità e a una città.