Il bluff del Piano Casa: 845 milioni mangiati da burocrazia e politica
Soldi stanziati per costruire case popolari ma non utilizzati. Perduti nei meandri della burocrazia e delle contrapposizioni politiche. Invece di farli fruttare per costruire i tanto decantati alloggi a basso prezzo per le giovani coppie, gli anziani, gli immigrati che i politici si sono «venduti» mediaticamente un migliaio di volte. È una storia italiana. La racconta la Corte dei conti, che il 23 dicembre scorso ha depositato la relazione conclusiva dell'indagine «Programma straordinario di edilizia residenziale pubblica e Piano nazionale edilizia abitativa». Si parte nel 2007, quando l'allora governo Prodi decide di dare avvio a un piano per costruire abitazioni a basso costo. Si passa per il 2008, quando l'esecutivo guidato da Berlusconi modifica quel programma e lo amplia al cosiddetto Piano casa. Si arriva al 2012 senza un'abitazione costruita. E, soprattutto, con quasi 845 milioni di euro investiti ma impigliati negli intrecci di norme, spesso contradditorie, e nei conflitti di competenza. La morale la tirano i magistrati contabili, che hanno verificato che il primo programma, quello del centrosinistra, «non ha avuto alcuna concreta realizzazione in termine di acquisizione di alloggi» fino al momento in cui è stato sostituito, con un ridimensionamento, dal secondo, quello previsto dal centrodestra che, «in corso di attuazione, ha dato risultati ancora modesti, rispetto al complesso degli interventi, ampi e diversificati, previsti e/o avviati». Sei anni, insomma, buttati. Ma non è tutto. La Corte dei conti precisa: «L'indagine ha verificato che le attività di tipo amministrativo e procedurale previste ed occorrenti per dar seguito ai due suddetti progetti - attività appena iniziate per il Programma straordinario e poi ripetute, nella sostanza, dopo la sua sostituzione, parziale, nel Piano Casa - sono state numerose ed impegnative, tanto da far ritenere che gli interventi e gli strumenti ideati ed ipotizzati, in successione, dalle leggi citate dovessero portare inevitabilmente a tempi non rapidi di attuazione». Cioè: non solo in questi ultimi sei anni non ci sono stati risultati ma era anche prevedibile che finisse così. La colpa? Di tanti. Il ministero delle Infrastrutture ha fatto la parte del leone, insieme con quello dell'Economia e con la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ma le Regioni da un lato e il Cipe dall'altro hanno complicato le cose ed eccoci qui. Le case popolari ce le sogniamo. Il tira e molla sul capitolo di bilancio numero 7440 del ministero dei Trasporti è stato evidente. Per il programma di edilizia residenziale pubblica sono stati assegnati complessivamente 543 milioni 995 mila 500 euro. Soldi da trasferire alle Regioni e alle Province autonome, dopo aver individuato interventi prioritari e sottoscritto accordi di programma specifici. Peccato. «Il programma non ha avuto alcuna concreta attuazione, anche se il ministero dei Trasporti ha ricevuto dal ministero dell'Economia il trasferimento delle risorse che vi erano state destinate - scrive la Corte dei conti - considerato che circa un semestre dopo è stato varato il più complesso e articolato "Piano nazionale di edilizia abitativa (Piano Casa)", che ha previsto, al comma 12 bis, anche la realizzazione, sia pure con un notevole ridimensionamento, degli interventi che erano stati oggetto del precedente Programma e conseguentemente la riduzione delle risorse, fissate nel limite massimo di 200 milioni». Dunque: negli ultimi mesi del 2008 il governo Berlusconi decide di dare vita al Piano Casa, in cui inserire anche l'acquisizione e la costruzione di alloggi popolari. Ma le cose non sono andate per il verso giusto. «Il Piano Casa ha posto problemi di legittimità», soprattutto perché tante Regioni hanno «investito la Corte costituzionale di questioni a loro avviso incidenti sulle competenze attribuite alle Regioni dalla Costituzione». Attenzione, però. «Indipendentemente dalle questioni di costituzionalità - chiariscono i magistrati contabili - i tempi dell'avvio del Piano Casa e della sua realizzazione sono stati condizionati dagli adempimenti e procedure richiesti dalla messa in opera delle sei linee di interventi in cui il Piano è stato articolato». Ovviamente, da parte loro, le Regioni e le Province autonome hanno stanziato altri soldi (pubblici e privati). Lo Stato ha messo sul tavolo, con il decreto della presidenza del Consiglio dei ministri del 16 luglio 2009, quasi 378 milioni di euro. Di questi, la Lombardia ha avuto circa 55 milioni, la Campania più di 41, il Lazio 38 milioni 574 mila euro, il Piemonte 32 milioni 839 mila e via tutte le altre Regioni. Ma non si vede la luce. «Il Ministero ha preso atto della perplessità che ha suscitato la constatazione, da parte di questa Corte, dei lunghi tempi impiegati in attività preliminari e quindi della mancanza di rapidi e soddisfacenti risultati» e ha indicato due «fattori di ritardo, non imputabili al Ministero»: i ritardi delle Regioni nel proporre accordi di programma e il Cipe, che s'è preso cinque mesi per l'istruttoria. Lo scaricabarile non poteva mancare. Proprio una storia italiana.