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Sbagliano a pensare a sponde con il Pd

Il premier Mario Monti

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A dispetto di ciò che alcuni, poco importa se pochi o tanti, sospettano all'interno del Pdl, ed hanno avuto anche l'imprudenza politica di dire nei giorni scorsi, si può tranquillamente escludere che il presidente del Cons Lo si può escludere anche se quest'ultimo, accorso ieri a Reggio Emilia per la celebrazione del duecentoquindicesimo anniversario del tricolore italiano, si è affrettato a condividere le parole appena pronunciate, nell'occasione, dal capo del governo in tema appunto di lotta all'evasione. Che Monti si è proposto di sostenere sino in fondo per ragioni giustamente etiche, e non solo economiche, dettate cioè dalla necessità di reperire nuove risorse per rafforzare la sicurezza dei conti reclamata dall'Unione Europea, e dai mercati, e garantire la ripresa. Senza la quale neppure i conti al sicuro basterebbero per risalire la voragine del debito pubblico. In particolare, riprendendo un'immagine molte volte usata dal suo predecessore Silvio Berlusconi per promettere di non aumentare le tasse, o per vantarsi di non averle aumentate, neppure di fronte alle prime avvisaglie dell'aggravamento della crisi economica, Monti ha osservato che sono gli evasori a «mettere le mani nelle tasche dei contribuenti» che pagano regolarmente le imposte. E che sono stati appena chiamati purtroppo dal suo governo a pagarne di più, o di nuove, per fronteggiare l'emergenza da cui è nato anche il ricorso a ministri e a un presidente del Consiglio "tecnici", per quanto lo stesso Monti proprio pochi giorni prima di approdare a Palazzo Chigi sia stato promosso a livello politico dal capo dello Stato con la nomina a senatore a vita. Che gli consente, fra l'altro, al di là forse delle stesse intenzioni di Giorgio Napolitano, di disporre di quel poco che è rimasto dell'immunità parlamentare dopo l'improvvida modifica dell'articolo 68 della Costituzione, frettolosamente introdotta nel 1993 sotto l'effetto emotivo di Tangentopoli. Di cui molti poi si sono pentiti in Parlamento senza avere tuttavia il coraggio di trarne le conseguenze, ripristinando il vecchio testo o modificandolo ulteriormente, neppure di fronte ai più clamorosi casi di gestione politica della giustizia. Si provi solo ad immaginare che preda facile sarebbe un presidente del Consiglio privo di immunità parlamentare di fronte alla tentazione di un pubblico ministero, assecondata da un giudice, di conquistare le prime pagine dei giornali con una cervellotica proposta di arresto, e non solo con l'apertura di un'indagine e una richiesta di rinvio a giudizio. Anche questo purtroppo è diventato il sistema giudiziario italiano, pur se molti fingono di ignorarlo o negano, dati i vantaggi che hanno potuto ricavarne nei mesi e anni scorsi nella guerra a Berlusconi i suoi avversari. Ma torniamo a Monti e alla lotta all'evasione fiscale. Sulla quale si può escludere che il presidente del Consiglio mediti o coltivi giochi di sponda con il Pd per il semplice motivo che ciò sarebbe la fine del suo governo. Che è destinato a durare sino alla conclusione ordinaria della legislatura solo se riuscirà ad evitare appunto giochi di sponda preferenziali con uno o l'altro dei partiti che hanno deciso di garantirgli sistematicamente la fiducia nelle aule parlamentari. E contribuiscono perciò, tutti in modo determinante, a costituirne la maggioranza. Se nel Pdl berlusconiano si coltivano, nonostante questa evidentissima realtà, sospetti di giochi di sponda tra Monti e il Pd, o tentativi di quest'ultimo di farne propagandisticamente di propri contro la volontà dello stesso presidente del Consiglio, come si potrebbe in teoria immaginare di fronte alla tempestività del consenso espresso ieri da Bersani alle sue parole, vi è un solo modo per dissiparli e insieme difendersene. È quello di non lasciarsi spiazzare e precedere dal o dai concorrenti e fare la propria parte quando c'è da portare avanti una causa giusta e improrogabile come quella della lotta all'evasione fiscale, senza impantanarsi in polemiche inutili, o controproducenti, su questo o quell'aspetto di questa o quell'operazione appena compiuta dagli organi che vi sono preposti. Di queste polemiche si è avvertito l'assordante rumore in occasione dei controlli eseguiti tra le nevi, i negozi, i posteggi e gli alberghi di Cortina d'Ampezzo. Polemiche rispetto alle quali si possono per fortuna considerare correttive le valutazioni positive espresse ieri da alcuni esponenti del Pdl che hanno probabilmente tenuto conto anche delle perplessità provocate da loro colleghi presso giornali non certo sospettabili di pregiudizio verso lo stesso Pdl e i berlusconiani come il nostro, o «Il Foglio» di Giuliano Ferrara. Dove si è fatto impietosamente osservare, fra l'altro, che gli insorti contro i metodi adottati a Cortina per stanare gli evasori «possono avere ragioni astratte dalla loro, ma debbono ricordarsi di essere parte di una classe dirigente che ha fallito la riforma fiscale». Poco importa a questo punto – mi permetto di aggiungere – se per responsabilità più dell'ex cosiddetto superministro dell'Economia Giulio Tremonti o di quanti, a cominciare da chi presiedeva il governo, non hanno saputo o voluto supplirvi o liberarsene, anche a costo di una crisi. Che, se motivata da queste ragioni, e promossa nei tempi giusti, avrebbe probabilmente risparmiato al centrodestra l'epilogo di due mesi fa. A proposito di classe dirigente, ogni tanto si ha purtroppo la sensazione che nel Pdl non si abbia o non si avverta la consapevolezza di ciò che essa significa e comporta: una sensazione che sarebbe disonesto negare o nascondere, magari solo per evitare di portare involontariamente acqua a mulini che non la meriterebbero, come quelli di certa sinistra. Una classe dirigente fa torto a se stessa quando si ostina a inseguire un ex alleato come la Lega, che sta traducendo in qualcosa di assai pericoloso la pur legittima opposizione al governo di Monti. O quando adotta comportamenti personali come quello tenuto a Courmayeur dall'ex sottosegretaria Daniela Santanchè, che si è guadagnata una multa parcheggiando in divieto di sosta il suo fuoristrada. Di questi tempi, quando in certi casi il confine tra una infrazione e un'ostentazione si è fatto, a dir poco, labile. E non certo per responsabilità della stampa.

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