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Mubarak rischia la pena di morte

L'ex presidente egiziano Hosni Mubarak

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Mubarak come Saddam. Il cappio rischia di stringersi al collo dell'ex presidente dell'Egitto deposto sulla spinta delle proteste popolari. Sotto processo, ieri il procuratore ne ha chiesto la condanna a morte. Non per i crimini commessi nei 19 anni al potere ma per la repressione dei moti di piazza Tahrir. «Gli imputati in gabbia davanti a voi sono i veri istigatori e sono coloro che hanno dato agli ufficiali di polizia l'ordine di sparare». Con queste parole il procuratore capo Mustafa Suleiman ha accusato l'ex presidente egiziano Hosni Mubarak, il suo capo della sicurezza e sei alti ufficiali di polizia di aver «istigato praticamente» l'uccisione di oltre 800 manifestanti durante i diciotto giorni di proteste che all'inizio dello scorso anno portarono alla caduta del regime. Se condannati per questo reato, Mubarak e i sette co-imputati rischiano la pena di morte. Per l'indagine Suleiman ha svolto una propria inchiesta, intervistando centinaia di testimoni e agenti di polizia, visto che le forze di sicurezza avevano ignorato le richieste della procura a collaborare alle indagini. Gli imputati, ha spiegato il procuratore in aula, hanno esplicitamente autorizzato l'uso delle armi per reprimere le rivolte. La decisione, ha spiegato in particolare, è stata presa il 27 gennaio dello scorso anno, alla vigilia della giornata di maggiori violenze della rivolta, ossia venerdì 28. Quel giorno, il «venerdì della rabbia», vide il dispiegamento di soldati dell'esercito per le strade de Il Cairo. Durante l'udienza di ieri, il procuratore ha mostrato i video delle violenze ottenuti dalle emittenti televisive, in cui si vedono ufficiali di polizia caricare le armi e mezzi della polizia e dei vigili del fuoco inseguire i manifestanti e investirli. In un filmato, un ufficiale di polizia sul tetto di una macchina uccide una persona con un colpo di pistola alla testa. «I manifestanti - ha proseguito Suleiman - erano pacifici, ed è stata la polizia a iniziare a sparare contro di loro». Il ministero dell'Interno e l'agenzia di intelligence, ha poi detto Suleiman, hanno ignorato le richieste della procura di dare informazioni sulle circostanze in cui sono avvenute le uccisioni. «Hanno deliberatamente cercato di ingannare la giustizia», ha aggiunto. Un altro procuratore, Mustafa Khater, ha riferito alla corte che le forze speciali di polizia armate con fucili automatici in quei giorni mirarono alla testa, al petto e agli occhi dei manifestanti. Gli ufficiali del ministero dell'Interno egiziano, ha aggiunto Khater, hanno inoltre utilizzato bande di criminali per provocare i dimostranti durante le proteste. I teppisti avrebbero lanciato pietre alla folla, spingendo i dimostranti a rispondere per difesa personale e, così, a non apparire più pacifici.

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