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E se avesse ragione Orban?

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Questo però mi basta per provare per lui una grande simpatia. Come non trovare, in questa Europa ormai prigioniera di un pensiero unico che per i suoi tratti assolutistici ha l'aspetto di un razzismo ideologico assolutamente incapace di capire e rispettare, su ogni problema del nostro tempo, idee e opinioni anche soltanto un pochino diverse da quelle ammesse dal più monocromo e piatto «politically correct», estremamente simpatico un premier, che sebbene eserciti i suoi poteri legittimi col sostegno di ben due terzi di un parlamento eletto democraticamente, viene dipinto come un despota reazionario deciso a imporre al suo paese una svolta antidemocratica? Come non trovare ancora più simpatico un uomo di governo che in un mondo dove ormai tutti i politici sulla piazza, compresi quelli realmente muniti di uno schietto passato fascista, fanno a gara per dimostrarsi fedeli al cosiddetto «spirito dei tempi», forte dello strepitoso consenso elettorale che è riuscito a conquistare, sembra al contrario deciso a usarlo anche e forse soprattutto per tentare di sottrarre almeno in parte il suo paese agli effetti di quelle nuove forme di conformismo ideologico che stanno imponendo al nostro continente una esasperante omologazione culturale? Come non trovare arcisimpatico un leader politico che in questa Europa contraddistinta dal primato franco-tedesco ha non solo osato dare a questo fenomeno il nome di «tirannia finanziaria», ma si è addirittura permesso di proclamare in parlamento di non credere nell'Unione Europea ma nell'Ungheria, e di considerare la prima «da un punto di vista secondo cui, se facciamo bene il nostro lavoro, allora quel qualcosa in cui crediamo, che si chiama Ungheria, avrà il suo tornaconto»? Come non trovare inoltre ultasimpatico un primo presidente del Consiglio che anche con quella che viene giudicata la sua massima colpa, ossia il varo, ovviamente sempre col consenso della stragrande maggioranza del suo parlamento, di una nuova Costituzione, non ha fatto altro che provare che una certa dose di decisionismo, diversamente fa quel che pretendono i suoi critici, non è affatto incompatibile col massimo rispetto dei princìpi della democrazia? Come infine non vedere in lui un simpaticone coi fiocchi quando con ogni suo atto ha finora dimostrato di appartenere, in questo mondo pieno zeppo di «anticomuninsti relativi», alla rarissima specie di quelli «assoluti»? A questo punto devo soltanto chiarire che cosa intendo con questi due termini. «Anticomunisti relativi» sono per me tutti quegli anticomunisti che pur avendo capito che il comunismo storico è stato un fallimento, sotto sotto continuano a pensare che sarebbe in fondo stato bello se quello «ideale» si fosse potuto realizzare. Gli «anticomunisti assoluti» sono al contrario convinti che il fatto che il comunismo ideale si sia rivelato irrealizzabile è una vera fortuna, giacché il comunismo «ideale», cioè la favola di una società perfettamente progettata, programmata e pianificata in ogni minimo dettaglio, essendo una realtà rigorosamente preclusa all'inatteso, sarebbe appunto, se fosse possibile attuarlo, una perfetta schifezza. Ora è evidente che Viktor Orban è uno dei pochissimi anticomunisti che fanno parte del piccolo, esclusivissimo club degli anticomunisti assoluti, vale a dire «senza se e senza ma». E questo è il principale dei molti motivi per cui lo trovo di una simpatia assoluta.

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