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Il referendum elettorale e i sussurri del Palazzo

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Nell'estate scorsa furono raccolte le firme per un referendum che cancellasse quell'autentica vergogna che è il «porcellum» (è stato il suo autore, l'onorevole Calderoli a definirla così); cioè la legge elettorale, tuttora in vigore, che attraverso la infame regola della lista bloccata fa sì che deputati e senatori non siano scelti dagli elettori ma dai segretari di partito. Per due volte, nel 2006 e nel 2008 il Parlamento è stato eletto così, e si è trasformato quindi in un'assemblea di nominati, invece che di eletti. La campagna suscitò un tale entusiasmo che in un mese, settembre, raccogliemmo quasi un milione e mezzo di firme. Di fronte allo scandalo di un Parlamento che per sei anni non ha mosso un dito per cambiare questo sconcio, i cittadini si sono mobilitati in massa per riappropriarsi di un diritto che è il cuore della democrazia, quello di scegliere i parlamentari. Ora siamo all'appuntamento più importante dell'iter referendario, quello della Corte Costituzionale che si riunirà l'11 per esaminarne la legittimità. Da molte settimane il sottobosco del Palazzo batte un tam tam che pronostica la bocciatura del referendum e ne indica i due motivi: uno di carattere giuridico, per cui una legge abrogata non potrebbe rivivere neanche se un referendum cancella la legge abrogante, che è precisamente il modo in cui opererebbe il referendum che, abrogando in tutto o in parte il «porcellum», farebbe rivivere la regola del collegio uninominale all'inglese; e l'altro squisitamente politico, e cioè che i giudici sarebbero spinti alla bocciatura dal timore che le tensioni provocate dalla campagna referendaria mettano a rischio il governo. Io ho piena fiducia nella Corte Costituzionale e non mi preoccupano i sussurri del sottobosco politico. Ma considero molto importante l'appello lanciato in questi giorni da oltre cento professori di diritto costituzionale che, «auspicando che il referendum venga ammesso dalla Corte», invitano i partiti e i gruppi parlamentari ad affrontare subito il problema. Nel documento si ricorda che l'iniziativa referendaria ha riaperto un tema che sembrava chiuso e che, se passerà al vaglio della Corte, sarà uno stimolo per completare le riforme. In conclusione la gran parte del mondo costituzionalistico ritiene legittimo il quesito referendario, e osserva che attraverso il ritorno ai collegi uninominali contribuirà a ricostituire un rapporto più diretto tra parlamentari ed elettori. Questo sostegno così ampio ed autorevole è un grande conforto per tutti noi che abbiamo lanciato l'iniziativa referendaria. In quanto all'argomento cosiddetto politico chiunque abbia un po' di sale in zucca capisce che i problemi per il governo sono di ben altra natura. Ma anche su questo il documento dice che il referendum non solo non interferirà con l'attività di governo, ma potrà aiutare i gruppi parlamentari nello sforzo per fronteggiare la crisi economica e finanziaria. Bene. Nell'appello non vi è solo scienza giuridica; c'è anche molto buon senso.

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