La partenza sprint del Professore
Mario Monti inizia a razzo il 2012 lasciando al palo i sindacati sulla riforma del lavoro; governatori, sindaci e organizzazioni del commercio sugli orari dei negozi; gli ordini professionali sulle liberalizzazioni. E, tanto per cambiare, i partiti: ancora illusi che la fase due, quella della crescita, restituisca loro potere, visibilità e consensi smarriti da quando la politica si è fatta travolgere dai fatti. Non si era mai visto un premier che due giorni dopo Capodanno riunisse un gabinetto di guerra con il governatore della Banca d'Italia ed il pacchetto di mischia dei ministri economici, concordando un'agenda europea da brividi: domani a Parigi summit con Nicolas Sarkozy, mercoledì 11 a Berlino con Angela Merkel, a Londra da David Cameron, poi un tête-à-tête alla Casa Bianca con Barack Obama. Il 23 l'Eurogruppo a Bruxelles ed il 30 il decisivo consiglio straordinario europeo. Monti vuole imitare il Peter Sellers del Dottor Stranamore? No: si è solo lanciato in una corsa contro il tempo nella quale deve vedersela con due variabili. Da una parte i 350 miliardi di titoli a scadenza nel 2012, per quasi la metà entro aprile. L'andamento delle ultime due aste 2011 ha mostrato un netto calo dei tassi a breve, Bot e Btp triennali; mentre quello dei decennali (che determina lo spread) resta quasi al 7 per cento. Tutto ciò, è la conclusione di Monti e Visco, significa due cose: i mercati non temono nell'immediato un default dell'Italia e sfruttano la liquidità (appunto a tre anni) messa a disposizione dalla Banca centrale europea. Ma oltre queste colonne d'Ercole non intendono per ora spingersi. Anche perché non si sa chi comanderà in Italia e che cosa accadrà dopo Monti. Il fatto è che nel 2012 la concorrenza sarà feroce: i governi europei collocheranno bond per 1.350 miliardi, con la Francia che probabilmente perderà la tripla A, e la Spagna di nuovo sorvegliata speciale dopo che il governo conservatore di Mariano Rajoy ha rivisto dal 6 all'8 per cento il deficit lasciato dai socialisti di Zapatero. Serpeggia il timore di nuovo caso Grecia, della scoperta di un buco nel debito: ieri Madrid ha dovuto precipitosamente smentire la richiesta di aiuto del Fondo monetario. L'altra variabile è il braccio di ferro sui nuovi vincoli europei, il fiscal compact deciso il 9 dicembre, ma non ancora approvato. Per l'Italia è un triplo salto carpiato con avvitamento: la regola prevede il taglio di un ventesimo l'anno del debito eccedente il 60 per cento del Pil. Per noi significa manovre di 45 miliardi l'anno per vent'anni. Giulio Tremonti nell'ultimo summit al quale partecipò a novembre era riuscito a strappare correzioni che tenevano conto del patrimonio privato di famiglie e aziende e del ciclo economico negativo. Quella formula, denominata six pack, è però scomparsa dall'articolo 4 dell'accordo del 9 dicembre. Che tuttavia, a differenza del precedente, non è ancora legge. Gli emendamenti inviati da Monti a Bruxelles chiedono che si torni al Regolamento comunitario 1.177 del novembre 2011, aggiungendo altre due proposte: tenere fuori dai deficit le spese per gli investimenti, ed evitare che a decidere le sanzioni sia la Corte di giustizia europea. L'obiettivo vero è il ritorno al six pack, e per contrastare il rigorismo tedesco sono in corso contatti con Belgio, Polonia, Lussemburgo e soprattutto Francia. Missione difficile ma non impossibile: il 22 aprile si vota per l'Eliseo. Ecco perché Monti corre, anche scontando errori e impopolarità, mentre il resto della classe dirigente è immobile e frastornato. E se i capipartito pensano tra un anno e mezzo di tornare all'antico, si illudono. Sergio Romano ha citato sul Corriere della Seraun dossier dell'Istituto di studi di politica internazionale: obiettivo, capire come le democrazie tradizionali possono affrontare i nuovi complessi problemi globali. La distinzione è tra sistemi presidenziali, con ministri tecnici che al termine del mandato tornano alle loro professioni senza nulla dovere alla politica; e sistemi parlamentari con governanti espressi dai partiti. «Nei prossimi anni» scrive Romano «vi saranno in occidente molti più tecnici al potere. Bisognerà allora inventare nuove democrazie per conciliare il potere dei tecnici con la volontà degli elettori e la funzione dei parlamenti». Forme di democrazia semplificata, aggiungiamo noi, in cui i vecchi apparati conteranno sempre meno. Non è già la foto della realtà attuale?