Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Napolitano rilancia: "L'Italia può farcela"

Il Presidente della Repupplica Giorgio Napolitano

  • a
  • a
  • a

Un discorso di fiducia. Un messaggio di speranza. E soprattutto una linea tracciata per l'anno prossimo: ripartire con le riforme, in particolare quelle del lavoro e istituzionali. È stato un saluto agli italiani non rituale quello di Giorgio Napolitano. Un presidente della Repubblica che avverte la gravità della situazione ma allo stesso tempo insiste: «L'Italia può e deve farcela». E assicura: «I sacrifici non saranno inutili». Soprattuto perché «serviranno per garantire il futuro alle nuove generazioni». Insomma, il Capo dello Stato traccia la rotta al governo; il premier ringrazia: «Buone indicazioni di lavoro, il messaggio accresce ulteriormente la motivazione del governo». Mai tanto in sintonia Colle e palazzo Chigi negli ultimi anni. Torniamo al discorso del 31 dicembre. Napolitano parla anzitutto della «fiducia in noi stessi, per quel che possiamo sprigionare e far valere dinanzi alle avversità: spirito di sacrificio e slancio innovativo, capacità di mettere a frutto le risorse e le riserve di un'economia avanzata, solida e vitale nonostante squilibri e punti deboli, di un capitale umano ricco di qualità e sottoutilizzato, di un'eredità culturale e di una creatività universalmente riconosciute». Detto ciò, ricorda che «l'emergenza resta grave». Elenca impietosamente: «La fiducia rischia di essere oscurata da interrogativi angosciosi che possono tradursi in scoraggiamento e indurre al pessimismo. È faticoso riguadagnare credibilità, dopo aver perduto pesantemente terreno; i nostri Buoni del Tesoro - nonostante i segnali incoraggianti degli ultimi giorni - restano sotto attacco; il debito pubblico che abbiamo accumulato nei decenni pesa come un macigno e ci costa tassi di interesse pericolosamente alti». Quindi «nessuno, oggi può sottrarsi all'impegno di contribuire al risanamento dei conti pubblici, per evitare il collasso finanziario dell'Italia». Di qui l'ammonimento: «Dobbiamo comprendere tutti che per lungo tempo lo Stato, in tutte le sue espressioni, è cresciuto troppo e ha speso troppo, finendo per imporre tasse troppo pesanti ai contribuenti onesti e per porre una gravosa ipoteca sulle spalle delle generazioni successive». Detta la linea. Si comincia dal welfare: «È necessario riconoscere come si debba senza indugio procedere alla puntuale revisione e alla riduzione della spesa pubblica corrente». Ma «occorre definire nuove forme di sicurezza sociale che sono state finora trascurate a favore di una copertura pensionistica più alta che in altri Paesi o anche di provvidenze generatrici di sprechi». E subito dopo occorre «ripensare e rinnovare le politiche sociali e anche, muovendo dall'esigenza pressante di un elevamento della produttività, le politiche del lavoro». Più in generale il presidente della Repubblica afferma che guardiamo «alle grandi prove che abbiamo davanti: come superare i rischi più gravi di crisi finanziaria per il nostro Paese, e come reagire alle minacce incombenti di recessione. L'Italia può e deve farcela; la nostra società deve uscirne più severa e più giusta, più dinamica, moralmente e civilmente più viva, più aperta, più coesa». Rigore sì, ma anche «crescita». «Crescita più intensa e unitaria, nel Nord e nel Sud - dice Napolitano -, da mettere in moto con misure finalizzate alla competitività del sistema produttivo, all'investimento in ricerca e innovazione e nelle infrastrutture, a un fecondo dispiegarsi della concorrenza e del merito». Questo è il mandato che hanno Monti e il suo governo «la cui nascita - spiega il Capo dello Stato - ha costituito il punto d'arrivo di una travagliata crisi politica di cui il presidente del Consiglio, onorevole Berlusconi, poco più di un mese fa, ha preso responsabilmente atto». Rivela di aver valutato in quel caso «uno scioglimento anticipato delle Camere» come «un azzardo pesante dal punto di vista dell'interesse generale del Paese». L'invito finale è a proseguire sulla strada della collaborazione per varare quelle «riforme istituzionali da tempo mature».

Dai blog