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"Le riforme vanno concordate con noi"

Silvio Berlusconi

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«Abbiamo mandato a casa Berlusconi». Ci prova Pier Luigi Bersani a intestarsi la vittoria. È fine anno, tempo di bilanci. Mario Monti passa dagli «atti dovuti» agli «atti voluti». Anche se per capire di cosa si tratta occorrerà aspettare la fine di gennaio. Il segretario del Pd si autocelebra con un'intervista alla televisione del partito. E Silvio Berlusconi? Con buona pace di Bersani, il Cavaliere è ancora lì. Fuori da Palazzo Chigi certo, ma ben presente nell'agone politico. Dove fa e disfa come più gli aggrada. Dopotutto non è un segreto che il futuro dell'esecutivo del Professore sia in gran parte legato agli umori del Pdl, che resta il maggiora partito in Parlamento. Forte di questa certezza Berlusconi gioca con bastone e carota. Ieri, ad esempio, ha inviato un messaggio ai Promotori della Libertà. Un modo per tenere alto "l'umore delle truppe", ma anche per fissare qualche paletto lungo il percorso indicato dal presidente del Consiglio. Anzitutto deve essere chiaro che il Pdl ha votato la manovra dell'esecutivo «perché era il male minore, vista la situazione di assoluta emergenza in cui si trova l'unità europea e lo stallo in cui la speculazione internazionale avevano fatto precipitare l'Italia». Quindi, giunti a questo punto, il partito del Cav manterrà la barra dritta: «Continueremo a seguire questo stesso atteggiamento di responsabilità verso l'Italia e gli italiani a sostegno delle altre riforme necessarie per favorire la crescita, riforme che il nostro governo aveva già indicato nella lettera alla Banca centrale europea e all'Europa». Insomma, i temi sono già in agenda. E il Cavaliere li ricorda: attuazione del federalismo fiscale, nuovi ammortizzatori sociale e nuova legislazione sul lavoro, completamento della riforma della giustizia civile, liberalizzazioni dei servizi pubblici locali, sostegno alla ricapitalizzazione delle banche per assicurare credito e liquidità alle imprese. Circoscritto il campo di azione non resta che lanciare un messaggio a Palazzo Chigi: «Su tutti questi temi si potrà intervenire con efficacia e rapidità se d'ora in poi - come auspico - i provvedimenti del governo, prima del varo, saranno concordati anche con noi che siamo la forza di maggioranza relativa in Parlamento». Parole che hanno evidentemente un duplice obiettivo. Il primo è respingere l'assalto di chi, come la Lega, prova a lucrare consensi accusando gli ex alleati di essersi venduti ai "comunisti". Fino ad oggi, infatti, a parere dell'ex premier, non è stato così. Anzi, il Pdl si è trovato a votare e discutere testi che in alcun modo erano il frutto di una trattativa precedente. Il secondo obiettivo, invece, è ricordare ai ministri e a Monti che il loro resta un «lavoro precario». Tanto che subito dopo Berlusconi aggiunge: «Noi abbiamo assicurato il nostro leale sostegno al governo dei professori ma dobbiamo essere pronti ad ogni evenienza e comportarci come se la campagna elettorale per le elezioni fosse già in corso». Per il resto il Cavaliere si limita all'ordinaria amministrazione: loda Monti per aver parlato di ottimismo («non ho mai visto un pessimista realizzare qualcosa di buono nella vita»), sottolinea che non era lui la causa dello spread elevato, critica la maggior tassazione sulla casa («che è da sempre il bene rifugio principale»), tende la mano all'Udc e alla Lega. Poi detta l'agenda delle riforme istituzionali (da quella della legge elettorale al taglio del numero dei parlamentari) e ribadisce che la Bce deve diventare «prestatore di ultima istanza». L'ultimo pensiero è per Angelino Alfano e per la «nuova classe dirigente» che sarà impegnata in prima linea. Per sé il Cav ritaglia un ruolo da "padre nobile": «Resterò in campo per vincere le prossime elezioni e perché il governo dell'Italia sia ancora affidato dagli elettori a una forza di democrazia e di libertà qual è la nostra». Insomma Monti resta un premier «sotto tutela». Anche perché, agli avvertimenti di Berlusconi corrispondono quelli uguali e contrari di Bersani che, pur lodando il Professore per il «bagno di realtà», sottolinea che «sul sociale» è mancato qualcosa mentre l'articolo 18 resta intoccabile: «Togliamo dal tavolo cose che non c'entrano».

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