Ci vuole fiducia non nei mercati ma nell’uomo
Mi sono chiesto tante volte in cosa fosse diversa questa classe politica che ci governa da quella della Prima Repubblica, da quel gruppo di uomini e donne che dalla fine della monarchia fino al 1989 (anno del crollo del Muro di Berlino) ha retto le sorti del nostro Paese. La risposta l’ho trovata ieri quando per la prima volta ho visto la scrivania della Bibliotheca Apostolica Vaticana dove Alcide De Gasperi soleva leggere i testi antichi. Là, nel silenzio, avvolto da migliaia e migliaia di libri, chilometri di scaffali, ho colto l’essenza di tutto: la cultura, l’amore per il sapere, la conoscenza. Oggi abbiamo un professore a Palazzo Chigi, una persona seria, ma non ce lo vedo ad attraversare il Salone Sistino. Lo stesso vale per Silvio Berlusconi o Romano Prodi: l’uomo di Arcore è un self made man che non ha mai amato gli intellettuali, figurarsi i libri, mentre il Professore di Bologna sarà anche un «cattolico adulto» ma lontano anni luce dal sapere teologico-filosofico. Remoto rispetto alla cultura sulferea e tenerissima del cattolico-liberale Francesco Cossiga. Pallide comparse rispetto a un eccezionale coniatore di aforismi come Giulio Andreotti. Fuori dall’orbita di un socialista come Bettino Craxi che riscoprì l’opera politica di Pierre Joseph Proudhon contro Marx. In fondo, basta leggere la storia del debito pubblico di Paolo Cirino Pomicino che pubblichiamo sul nostro giornale oggi per rendersi conto della differenza abissale che passa tra chi ha costruito la sua idea politica nell’era degli -ismi (anche sbagliando) e chi calca la scena senza avere un passato di militanza ideale e una cultura alle spalle. Non nutro alcuna nostalgia - non foss’altro che per ragioni anagrafiche - ma il talento del mio amico Paolo getta un’ombra sulle lacune di (quasi) tutti gli altri. Ogni epoca ha la sua classe dirigente e, in fondo, quel che si merita, ma rifletteteci: da un lato abbiamo persone che hanno visto la Guerra Fredda, la battaglia tra Washington e Mosca, il terrorismo sanguinario delle Brigate Rosse; dall’altra un mondo che conosceva una crescita straordinaria, la rivoluzione tecnologica, il benessere diffuso, l’allungamento della vita media, una società più libera, la fine degli schemi precostituiti. Risultato: i primi combatterono (a debito) per la nostra libertà, i secondi l’hanno banalizzata (sempre a debito). Tra la spesa della Prima Repubblica e quella della Seconda c’è una voragine ideale che mi appare sempre più incolmabile.Per riempire questo vuoto occorrerà una transizione molto lunga e non è detto che alla fine si arrivi a ricostruire una classe dirigente degna di guidare un Paese dalla straordinaria cultura come è l’Italia. Ci vuole fiducia, ma prima di quella dei mercati, dobbiamo riconquistare quella nell’uomo e nel sapere.