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Rigenerare la politica per costruire il futuro

Il Presidente della Repupplica Giorgio Napolitano

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Il passaggio più forte del messaggio di Capodanno dal Quirinale è probabilmente quello in cui il capo dello Stato ha ammonito che "non c'è futuro per l'Italia senza rigenerazione della politica e della fiducia nella politica". Alla quale continuano a spettare, al di là della forzata parentesi tecnica del governo guidato da Mario Monti, le decisioni per voltare veramente pagina, abbandonare vecchie illusioni e brutte abitudini, con annessi privilegi e abusi, e mettere il Paese al passo con la modernità. È un passaggio, questo, che si trova alla fine dell'undicesima delle quattordici pagine dattiloscritte che Giorgio Napolitano aveva appoggiato sulla scrivania ma leggeva, come un bravo conduttore di telegiornale, sul video allestitogli dagli operatori della ripresa. Nonostante la prestazione eccellente, specie se si considera la professione del presidente, che non è mai stata e non è certamente quella del giornalista televisivo o dell'attore, temo che quelle parole siano sfuggite al pubblico dei non addetti ai lavori, cioè alla maggior parte dei tele o radiospettatori. Per i quali vige la regola che un esperto del ramo, quando faceva solo o prevalentemente l'editore televisivo, raccomandava sempre ai suoi giornalisti di non dimenticare. E che lui stesso, ahimè, quando gli è toccato o ha voluto cambiare mestiere, mettendosi in politica, ha spesso violato dilungandosi troppo nei discorsi. Parlo naturalmente di Silvio Berlusconi. Consigliava allora il Cavaliere di dire le cose essenziali davanti alle telecamere entro i primi tre, massimo quattro minuti, trascorsi i quali buona parte del pubblico - spiegava come un professore del ramo, una specie di Mario Monti della comunicazione - rischia di distrarsi, magari per colpa dei colori della cravatta del conduttore, o di un qualsiasi altro particolare. E di perdersi tutto o buona parte del resto del discorso, a dispetto del meglio che potrebbe contenere. Quei tre, quattro minuti erano stati l'altra sera largamente superati quando Napolitano ha messo il dito sulla piaga più grossa e purulenta della situazione. Che si chiama crisi della politica, dalla quale derivano tutti gli altri guai, compresi quelli economici e finanziari con i quali siamo ancora drammaticamente alle prese in questi giorni, nonostante le pesanti misure già adottate. Se la politica, quella dei partiti per intenderci, non avesse preferito fare negli anni scorsi, e per lungo tempo, senza distinzione tra centrodestra e cosiddetto centrosinistra, come gli struzzi - non a caso evocati dal presidente del Consiglio nella conferenza stampa di fine anno, cogliendo il pretesto fornitogli da una delle domande - non saremmo arrivati al punto in cui siamo. La stessa politica non si sarebbe trovata costretta, come è avvenuto con la larga fiducia parlamentare concessa al governo tecnico dalle «forze ha detto Napolitano - già di maggiorana e già di opposizione», a fare un passo indietro. Già da molto tempo prima della volontaria e "responsabile" decisione di Berlusconi di dimettersi, pur non essendo stato sfiduciato dalle Camere, e a dispetto delle fantasie del Wall Street Journal sugli ordini, o quasi, impartiti al Quirinale dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente della Repubblica aveva insistentemente quanto inutilmente invitato i partiti degli opposti schieramenti alla «coesione nazionale». Se avessero accettato in tempo quegli inviti, preferendo continuare invece sulla strada di una vacua e preconcetta contrapposizione, ammessa qualche giorno fa dal vice segretario del Pd Enrico Letta quando ha parlato di Berlusconi come di «un alibi» usato dalla sua parte politica per «buttare la palla in tribuna», anziché giocarla in modo pulito e onesto sul campo, sarebbero state risparmiate allo stesso capo dello Stato le decisioni sicuramente anomale alle quali ha dovuto ricorrere. E che hanno indotto più d'uno a parlare, fra le proteste dell'interessato, di una «democrazia sospesa».   La prima decisione anomala del presidente della Repubblica è stata quella di cercare fuori dai partiti, visto il vicolo cieco in cui questi si erano ficcati, la soluzione della crisi apertasi con le dimissioni del Cavaliere sotto l'incalzare dello spread, cioè dei mercati. La seconda decisione anomala del capo dello Stato è stata quella di scartare praticamente a priori l'ipotesi di elezioni anticipate. Che ancora l'altra sera, sempre nel suo messaggio di Capodanno, Napolitano ha definito «precipitose». O - sempre parole del capo dello Stato - «un azzardo pesante». I suoi critici diranno magari che manca la controprova. E continueranno a indicare come esempio la Spagna, dove al passaggio di un governo tecnico o di qualcosa di simile, in circostanze quasi analoghe, si è preferito anticipare le urne guadagnandosi anche per questo - dicono sempre i critici di Napolitano - un'attesa sostanzialmente benevola dei mercati. Ma la Spagna, dove basta la parola o l'idea del capo del governo in carica per sciogliere questi nodi, non è l'Italia. La cui Costituzione, a dispetto di una legge ordinaria che consente tanto di indicazione del candidato alla presidenza del Consiglio sulla scheda elettorale, affida solo al capo dello Stato le chiavi delle urne anticipate. «Il presidente della Repubblica può, sentiti i loro presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse», dice l'articolo 88. Che gli nega questa prerogativa solo «negli ultimi sei mesi del suo mandato», chiamati perciò "semestre bianco" dai costituzionalisti, «salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura», precisa una modifica costituzionale approvata nel 1991. Ciò consentirà pertanto a Napolitano di continuare a tenere da solo le chiavi delle urne anticipate anche nel primo semestre dell'anno prossimo, l'ultimo della sua permanenza al Quirinale. Se, al di là dei pur importantissimi temi economici, l'invito alla politica, e quindi ai partiti, a rigenerarsi e a riguadagnarsi così la fiducia dei cittadini è il passaggio più significativo del messaggio di Capodanno di Napolitano, il penultimo peraltro del suo difficilissimo mandato, è a dir poco stupefacente l'ostilità rozzamente confermatagli dalla Lega. Che, oltre ad avere impedito al precedente governo di adottare tutte le misure urgenti imposte dalla crisi, si sta rivelando il più protervo dei partiti. Al cui sistema si era pur vantata di non appartenere.

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