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Veltroni boccia la linea Bersani

Pierluigi Bersani, segretario del Pd

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Sono mesi che Pier Luigi Bersani vive in uno stato di vigile attesa. La speranza è di aver miglior sorte di chi lo ha preceduto. Magari di riuscire a giocarsi, vincendola, la partita delle elezioni Politiche. Siano esse nel 2013 o, come vorrebbero Antonio Di Pietro e qualcun'altro, a giugno del prossimo anno. Così il segretario oscilla tra il governo e la lotta. L'ultima apparizione pubblica, prima della pausa natalizia, era stata per avvertire Mario Monti e l'esecutivo che toccare l'articolo 18 sarebbe stato «da matti». Un "regalo" alla Cgil di Susanna Camusso e poi il meritato riposo. Che non significa tranquillità. Il partito, infatti, continua a dividersi tra ultramontiani e coloro che (vedi il responsabile economico Stefano Fassina) mantengono una certa distanza dall'esecutivo ricordando che il Pd lo sostiene ma che «non è questo il nostro programma». Il punto, però, è che gli ultramontiani cominciano a spazientirsi e sembrano pronti ad andare alla resa dei conti. Che potrebbe arrivare già il 20 gennaio quando i Democratici si riuniranno per l'Assemblea nazionale. Di certo la minoranza interna chiederà che si esca dalla due giorni con una linea chiara. Una linea che Walter Veltroni, intervistato dall'Espresso, sintetizza così: «Basta con le riserve. Il Pd deve appoggiare Mario Monti con autonomia, ma con convinzione». Insomma, non se ne può più dei distinguo di Fassina o delle virate verso le posizioni conservatrici della Cgil. «Il Pd - prosegue Veltroni - cresce nei consensi quando assume una posizione di responsabilità nazionale e di innovazione. Deve riuscire a scaldare i cuori e a conquistare nuovi elettori. Deve essere una forza aperta, inclusiva, combattiva. Deve essere il partito che guida l'Italia fuori dal tunnel e che restituisce fiducia e speranza». Certo, l'ex sindaco di Roma, non chiede ai Democratici di cancellare il proprio spirito critico. Si può stare con Monti anche «correggendo e migliorando provvedimenti». Ma è chiaro che la sua intervista rappresenta una bocciatura secca della dirigenza Bersani. E getta un'ipoteca sul futuro visto che, con un anno e mezzo di governo tecnico davanti, la minoranza del Pd avrebbe la possibilità di costruire un'alternativa credibile per la leadership del partito e dell'intero centrosinistra. Con Veltroni che potrebbe tornare a cullare sogni di gloria. Per ora il buon Walter si limita a picconare l'esistente. Così spiega che non solo la "foto di Vasto" è sbagliata perché «è stata scattata prima che si discutesse di cosa fare dell'Italia», ma smonta anche l'idea, da molti coltivata all'interno del Pd, che i Democratici sarebbero pronti, anche subito, a prendere in mano le redini del Paese: «No. In questo momento non c'è uno schieramento così robusto e coeso da poter governare la tempesta in arrivo». Poi, dopo aver difeso il biennio prodiano '96-'98 («Considero quel governo di cui facevo parte il migliore della Repubblica»), una stilettata ai "tifosi" che si sono schierati con la Cgil in difesa dell'articolo 18: «Mi hanno sorpreso i toni della Camusso contro Elsa Fornero, più duri perfino di quelli usati contro i ministri di Berlusconi. Non farà la sgradevolezza di mettermi a dire io cosa avrebbe fatto Bruno Trentin in questo caso. Oggi non è il tempo del muro contro muro. È il tempo di una nuova grande unità di chi lavora e produce ricchezza». Nel frattempo il vicesegretario Enrico Letta applaude il governo: «È sulla strada giusta. Adesso è il momento delle riforme coraggiose per fare ripartire la crescita. Bisogna risolvere il problema dei ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione, fare la riforma fiscale per creare nuova occupazione. Su questa strada con determinazione, il governo si muova, ed avrà il nostro sostegno convinto». Lui, come Veltroni, non ha dubbi su quale parte scegliere. Bersani, per ora, resta in silenzio. Ma per lui, la battaglia di gennaio si preannuncia tutt'altro che facile.

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