di Francesco Damato È una bestia ben strana la stampa americana, almeno quando si occupa delle faccende italiane, specie di quelle politiche.
Ilquale, fra tutti i presidenti del Consiglio succeduti ad Alcide De Gasperi, fu sicuramente il più anticomunista in politica interna e il più antisovietico in politica estera, tanto da consentire, con l'installazione dei missili Cruise nella base siciliana di Comiso, l'ultima sfida della Nato all'Urss, provocandone dopo qualche anno lo schianto. Eppure i giornali americani, ancora più a lungo della Casa Bianca, dove Ronald Reagan si rese rapidamente conto dell'abbaglio, scambiarono Craxi per un mezzo terrorista arabo per avere osato gestire con visibile autonomia la vicenda del sequestro della nave italiana Achille Lauro, compiuto dai palestinesi nelle acque del Mediterraneo. La guerra fredda è finita, per fortuna, da parecchio. Ma la stampa americana, persino quella considerata evidentemente a torto la più autorevole, continua a pensare che l'Italia possa essere teleguidata: ieri dagli Stati Uniti, oggi dalla Germania della cancelliera Angela Merkel. Della quale, secondo una "ricostruzione" del non più mitico Wall Street Journal, sarebbe bastata una telefonata il 20 ottobre scorso per convincere il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a staccare la spina a Silvio Berlusconi e a mettere in cantiere il governo tecnico di Mario Monti. Che, guarda caso, si è sentito chiedere l'altro ieri da un giornalista d'oltralpe, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, di spiegare perché sia così ben visto dai tedeschi. Al giornale americano, smentito con speditezza dal Quirinale e da Berlino, è mancato solo l'ulteriore cattivo gusto di rimproverare a Giorgio Napolitano di avere impiegato così tanto tempo per eseguire gli ordini, o i consigli, come preferite, della insofferente cancelliera di Berlino, visto che da quella telefonata alle dimissioni ufficiali di Berlusconi passarono ben 23 giorni. Durante i quali la Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy trovarono il modo e il tempo, certamente, di ridere, o sorridere, di Berlusconi dopo un vertice, rispondendo alle domande dei giornalisti, ma anche di incontrarlo di lì a poco, di riceverne e di apprezzarne un documento di 16 pagine contenente gli impegni italiani di intervento contro la crisi economica. Che è poi quello dal quale Monti è partito, come lui stesso ha tenuto a precisare nella già ricordata conferenza stampa di fine anno, per varare le misure "Salva Italia" approvate dal Parlamento prima di Natale. Dalle parti del Wall Street Journal il presidente Napolitano è stato evidentemente considerato un re travicello, come ha osservato con sarcasmo il capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri prendendone giustamente le difese: un re -chiamato proprio così, re Giorgio- appezzato invece di recente per il suo equilibrio e per la popolarità di cui gode meritatamente in Italia dal New York Times, giornale fortunatamente anch'esso americano. Dove si spera che ora la concorrenza non faccia troppi scherzi inducendolo ad emulare gli errori: cosa, questa, che nella stampa statunitense è già accaduto. Basterà ricordare la corsa alla dietrologia giornalistica scoppiata all'epoca dell'assassinio del presidente John Fitzgerald Kennedy. Del quale poco mancò ad un certo punto che fosse accusato da certa stampa il suo vice e successore Lyndon B. Johnson. Nello scambiare Napolitano per un re travicello il Wall Street Journal gli ha, fra l'alto, attribuito una frase, al telefono con la Merkel, che il presidente italiano mai avrebbe potuto pronunciare, conoscendone la precisione persino esasperata del linguaggio politico e istituzionale. In particolare, gli è stata attribuita in quella occasione la preoccupazione per il fatto che Berlusconi avesse appena "ricevuto la fiducia con un solo voto di scarto". Ebbene, il giorno prima del colloquio telefonico di Napolitano con la Merkel, il Cavaliere aveva affrontato alla Camera una votazione niente affatto di fiducia, ma ordinaria su un passaggio dell'esame di un disegno di legge di modifica dell'articolo 41 della Costituzione, riguardante la libertà ma anche i limiti dell'iniziativa economica privata.