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Il 5,62 per cento delle preferenze alla Camera (2.050.229 schede, 36 seggi), il 5,69 al Senato (1.866.356 voti, 3 seggi).

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Illeader centrista, dopo il divorzio da Forza Italia, ha deciso di correre da solo. I risultati sono quelli che sono. Poche poltrone, un peso nullo rispetto alla più grande maggioranza parlamentare di sempre ottenuta da Pdl e Lega. All'opposizione - dopo esser stato al governo e aver occupato lo scranno più alto di Montecitorio - ma schiacciato da quel Pd che vanta oltre cinque volte i numeri dei centristi. Pier Ferdinando, però, non si arrende. «Il Pd e il Pdl non sono due partiti omogenei, sono solo due grandi coalizioni mascherate da partito. Dopo il voto le contraddizioni al loro interno esploderanno e di nuovo l'Italia, così ingannata, si troverà di fronte agli stessi problemi di instabilità e di impotenza», aveva strillato nelle piazze del Belpaese, in piena campagna elettorale. E a urne chiuse continua a ripeterlo. I fatti - è sotto gli occhi di tutti - gli hanno dato ragione. Adesso che il governo è in mano ai «tecnici», dopo che Pdl e Lega hanno perso la maggioranza assoluta alla Camera e che la sinistra ha dimostrato in più di un'occasione di non essere in grado di guidare il Paese (lo ha detto persino il Financial Times, ma lo ha sostanzialmente ammesso pochi solo giorni fa anche lo stesso Veltroni), il leader centrista si gode il suo momento. Tutti lo cercano, tutti lo vogliono. Tutti sommano ai propri risultati le percentuali di voto attribuite dai sondaggi all'Udc (l'ultimo lo dà al 7,2%), nella speranza di superare l'avversario. Casini è decisivo, adesso. Ha sottratto ai due più grandi partiti una decina di deputati. Al Cav ha strappato addirittura la «fedelissima» Gabriella Carlucci, sancendo di fatto la fine del governo Berlusconi. Ha scommesso su Fini, puntando tutto sullo strappo del presidente della Camera nella speranza di coinvolgere lui e le sue truppe nella battaglia contro l'«odiato» bipolarismo. E ha tirato dentro anche Rutelli. Adesso destra e sinistra lo corteggiano con insistenza. È la «star» del prossimo campionato. «L'Udc condivide con noi la stessa visione della società e della persona», ha ripetuto Berlusconi fino a due giorni fa, impegnato nell'eterna scommessa di tenere per mano sia Bossi che Casini. Anche il Pd è in pressing. E l'alleato che propongono i dem non è certo meno indigesto, visto che pensano a «un asse con Casini e Vendola» (il copyright è di Enrico Letta). Pier Ferdinando, intanto, fa il tifo per il governo Monti. Il leader centrista è senza dubbio, dopo Napolitano, il più convinto sostenitore del Professore. «Più lo incontro, più cresce la mia stima per lui. Pur riconoscendo le difficoltà, è sereno e risoluto: la miglior guida per l'Italia», scriveva su Twitter solo alcuni giorni fa, attaccando chi - tra i politici - cominciava a manifestare le prime perplessità sui «tecnici» e sul loro operato. Se il presente lo vede al fianco di superMario, è il futuro di Casini a rimanere un rebus. Cederà alle lusinghe di uno dei suoi corteggiatori? Le parole pronunciate nel 2008 tornano utili ancora una volta: «La scommessa sul futuro non è quella di una forza di interposizione tra due giganti, ma quella di gettare il seme di un gigante buono, quel grande partito dei moderati di centro e cristiano che ancora oggi non c'è. Noi siamo liberali di ispirazione cristiana e vogliamo portare al governo i valori del cattolicesimo liberale». Alla domanda se avesse in mente una nuova Democrazia cristiana, rispondeva già allora: «Non vogliamo rifare la Dc: non solo perché sarebbe impossibile, ma perché sarebbe sbagliato. L'unità politica dei cattolici appartiene al passato». L'impressione, però, è che appartenga al passato anche la volontà di Casini di combattere nell'agone della politica per conquistare Palazzo Chigi. «Pensare prima all'interesse del Paese e poi a quelli di partito» è il mantra che ripete da giorni. Sembra quasi di sentire Napolitano.

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