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Trasparenza e chiarezza Così Mario supera il Cav

L'ex premier Silvio Berlusconi

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Mario Sechi ha praticamente chiesto a Mario Monti, commentandone il discorso dell'altro ieri al Senato, più comprensione verso i partiti, soprattutto i due maggiori. Il cui appoggio invece è apparso al presidente del Consiglio più convinto in privato che in pubblico. Una dose suppletiva di comprensione è ad essi dovuta – ha ammonito il direttore de Il Tempo – per il loro stesso «mestiere», che è quello di andare «a caccia del consenso». Un mestiere dal quale, per sua fortuna, è esonerato questo governo tecnico, chiamato a gestire l'attuale emergenza economica, e ciò che ne consegue, per quanto non sia stato votato dai cittadini ma solo dal Parlamento, cioè dai partiti che vi sono rappresentati. Questo ragionamento coglie indubbiamente un aspetto importante dell'anomala situazione politica creatasi con la crisi del quarto governo di Silvio Berlusconi e con la nascita del primo di Monti. Dico «primo» perché temo, per i partiti impegnatisi a sostenerlo nelle aule parlamentari, che ve ne potrebbero essere altri ancora, anche dopo le elezioni, se le forze politiche dovessero continuare a cercare solo consenso. E non anche a tradurlo, per serietà di programmi e coerenza di alleanze, in capacità di governo.  E qui passiamo all'altro aspetto dell'anomalia italiana, costituito dal fatto che le coalizioni partitiche succedutesi alla guida del Paese nei 18 anni della cosiddetta seconda Repubblica si sono purtroppo rivelate più capaci di vincere le elezioni che di governare per la loro scarsa coesione. Ne è derivata la implosione del bipolarismo, almeno nelle forme che abbiamo conosciuto sino al mese scorso. Se potranno esservene di nuove, francamente non so. Lo si potrà capire meglio nell'incipiente 2012 dall'evoluzione dei rapporti fra e nei partiti. E naturalmente dalla sempre più probabile riforma della legge elettorale. D'accordo, mentre i partiti cercano di ritrovare il bandolo perduto della matassa, il governo tecnico deve cercare di pestar loro i piedi il meno possibile.  Insomma di comprenderli, come dice Sechi. Ma anche i partiti debbono cercare di non continuare a complicare la situazione da loro stessi creata. E di capire che il governo è chiamato a rischiare più del dovuto, e del possibile, quando se ne prendono pubblicamente le distanze mentre la Lega non si limita a fare opposizione «vivace» in Parlamento, come dice l'ex ministro dell'Interno Roberto Maroni, ma minaccia anche fisicamente il presidente del Consiglio. Del quale, per esempio, un altro ex ministro leghista, Roberto Calderoli, ha parlato come di uno che si merita, per quello che fa, di essere «cercato a casa» da chi non ne condivide le scelte.  Purtroppo è anche per inseguire questa Lega assai poco commendevole, nella speranza, o illusione, di poterne recuperare l'alleanza nelle prossime elezioni, e di non comprometterla nelle amministrazioni locali dove ancora esiste, che Berlusconi alterna nei riguardi del governo incoraggiamenti e critiche, appoggio e minacce di disimpegno dalla maggioranza, visite conviviali a Monti e strizzatine d'occhio ai suoi avversari dichiarati e attivissimi. Così come fa dall'altra parte Pier Luigi Bersani per non buttare, dopo averla un po' coperta, la famosa foto di Vasto con Antonio Di Pietro e Nichi Vendola. Per tenere i malintenzionati lontano da casa sua, stando alla infelice e grave metafora di Calderoli, il presidente del Consiglio ritiene di dovere e poter fare solo una cosa: farsi capire bene dalla gente, non occultare la realtà, esporne chiaramente contorni e contenuti.  Ma questa esigenza di trasparenza è la stessa che ispirò nel 1994 e determinò la fortuna dell'esordio politico di Berlusconi. Il quale da imprenditore aveva conosciuto bene gli inconvenienti dei partiti a doppia lettura o linguaggio. Dai cui dirigenti, quando difendeva i diritti delle sue aziende, e quelli degli italiani di essere finalmente affrancati dall'anacronistico monopolio pubblico della televisione, egli riceveva spesso l'invito a considerare «realisticamente» le logiche della politica. Che autorizzavano i suoi interlocutori a dargli ragione in privato e torto in pubblico, o quasi. L'unico a sottrarsi a quel doppio binario era stato Bettino Craxi, contribuendo forse anche per questo alla propria fine. Sarebbe ben curioso, a questo punto, che Berlusconi si lasciasse ora scavalcare sul proprio terreno e privare della propria specificità da Monti, senza peraltro riuscire a sottrarsi neppure lui agli attacchi dei leghisti, tra un incontro e l'altro in clandestinità, o quasi, con Umberto Bossi.

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