Tra il vecchio e il finto nuovo
La fase 1 della manovra «salva Italia» è terminata, Monti ha preso la fiducia, e ora prepara la fase 2. Il rigore c'è, l'equità no, per la crescita aspettiamo il 2012. Nel frattempo il presidente del Consiglio ci ha detto che i partiti che fanno la faccia feroce in pubblico con lui in realtà sono più docili in privato. Che sorpresa, davvero ci voleva SuperMario per apprendere che la politica è double face, bizantina, e spesso con la lingua biforcuta. I lettori sanno che questo giornale sostiene la necessità della transizione, l'inutilità delle elezioni anticipate, l'ineluttabilità di un governo d'emergenza, ma questo non significa che Monti abbia sempre ragione, che i suoi ministri siano dei fenomeni e che i partiti abbiano sempre torto. La classe politica è quel che è, la commentiamo da anni e anni, ne conosciamo pregi e difetti. Dei tecnici sappiamo poco ma giorno per giorno li scopriamo e li giudichiamo senza sconti. I partiti, caro professor Monti, fanno il loro mestiere: vanno a caccia del consenso. Lei non ne ha bisogno, per ora. Ma ha certamente bisogno dei partiti. E a loro volta i partiti hanno bisogno di lei. Fra questo governo e la politica c'è un contratto tacito: i tecnici possono salvare il Paese senza essere mai stati votati, i politici possono salvare i partiti senza rinunciare al consenso. Ma se il governo nato dallo «stato d'eccezione» scantona dalla sua missione, aspira a farsi politico e magari pensa di trasformarsi in un rassemblement elettorale del futuro, allora c'è qualcosa che non va. Ho scritto in passato che questa esperienza si può travasare nei partiti, può rinnovarli, ma se diventa una manovra di Palazzo allora c'è un problema di legittimità. Confesso di avere fiducia in una sola persona: Giorgio Napolitano. È un uomo che ha una storia dentro i partiti, ha senso delle istituzioni, ama la Patria. La transizione è storicamente necessaria, è appena iniziata, va in qualche modo guidata, ma non deve diventare il trampolino di lancio del vecchio che non serve e del finto nuovo che (non) avanza. Decidono gli elettori, non le manovre di Palazzo.