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Pochi pasti al Senato, licenziati 6 camerieri

L'aula del Senato

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Alla fine hanno deciso di aprire lo stesso il ristorante. Ma i camerieri del Senato promettono battaglia. La società che gestisce il servizio, infatti, ha avviato le procedure per licenziare nove dipendenti. Nel pomeriggio di ieri un cameriere aveva lanciato la proposta di «barricarsi nel ristorante finché non arriverà una risposta». Poi la marcia indietro. Gli esuberi riguardano sei camerieri, due cuochi e un impiegato della tabaccheria. Dopo un paio d'ore, è tornata la calma: «Il ristorante non è occupato, c'è stata una normale assemblea sindacale», ha detto un altro cameriere, spiegando che la situazione è delicata: «C'è una trattativa in corso, la Gemeaz Cusin (la società che gestisce la ristorazione a Palazzo Madama) punta a rescindere il contratto». La colpa sarebbe dei senatori che, da quando sono stati aumentati i prezzi del menù, preferirebbero andare a mangiare nei più economici locali vicino al Senato. La storia va avanti da mesi. La scorsa estate è sbarcato sul web il listino delle portate: un piatto di pasta a 1 euro e 60 centesimi, una bistecca a 2 euro e 68, 1 euro e 43 per l'insalata, 76 centesimi per la frutta e 1 euro e 74 per il dessert. Ovviamente lo scandalo ha fatto il giro del mondo, tanto che il presidente Renato Schifani ha messo tutti a dieta. A settembre il collegio dei questori ha ritoccato il menù e i prezzi sono lievitati: spaghetti a 6 euro, petto di pollo o uova al tegamino con lardo a 10 euro e insalata a 5,35. Ma l'effetto non è stato quello sperato: i senatori hanno deciso di andare a mangiare altrove. La società che gestisce il servizio si sarebbe trovata di fronte a una crisi imprevista e avrebbe deciso di tagliare il personale. Della serie: piove sempre sul bagnato. «La Gemeaz - ha spiegato ancora un cameriere - ha chiesto la cassa integrazione per venti lavoratori, noi abbiamo detto di no. Ora sono arrivate le lettere per la mobilità». Senatori col braccino corto che non vogliono spendere anche più di 25 euro per un pasto al Senato? «È una stronzata - dice senza mezzi termini uno dei questori, Angelo Cicolani - Abbiamo concordato con la società di rescindere il contratto perché sono cambiate le nostre esigenze. Il servizio diventerà presto un buffet. Ovviamente faremo una gara, che stiamo già preparando, ci vorranno due o tre mesi». Nessuna responsabilità degli onorevoli, quanto piuttosto dei «lavori parlamentari che sono cambiati e che non richiedono più la presenza nelle ore del pranzo - spiega Cicolani - Adesso le convocazioni sono il martedì, il mercoledì e il giovedì fino alle 14. I senatori preferiscono tornare a casa invece di mangiare al ristorante». Perché allora raccontano una storia diversa? «È una scusa - continua il questore del Senato - Servono servizi più snelli». Poi ammette: «È evidente che i nostri tagli comporteranno anche sacrifici per il personale. È inevitabile ma la nostra decisione è stata giusta». Succederà ancora: nel 2013 il Senato lascerà l'ex hotel Bologna, dove ci sono gli uffici dei parlamentari. È già accaduto alla Camera, che non ha rinnovato il contratto d'affitto per Palazzo Marini con la società Milano '90 del costruttore romano Scarpellini. Inoltre dal 1° gennaio 2012 chiuderà anche la mensa al sesto piano di palazzo San Macuto. Gli addetti al servizio, in tutto 27, rischiano di perdere il posto.

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