L'ultimatum di Berlusconi
Il Cav avverte Monti: «Da qui in avanti ci dovrà consultare» Poi spiega il sì alla Manovra: «È il male minore»
In agguato ci sono i mercati, pronti ad azzannare l'Italia al primo segnale di turbolenza o di incertezza. Berlusconi lo sa e in questo momento non ha voglia di intestarsi la responsabilità di aprire una crisi e di far cadere Monti. Per questo ieri, dopo il via libera alla Manovra a palazzo Madama, il Cavaliere ha sottolineato che il sì del Pdl è esclusivamente legato alla necessità di evitare in questo momento fibrillazioni politiche inutili: «Abbiamo accettato di votare un decreto su cui non eravamo d'accordo in alcune parti e l'abbiamo fatto scegliendo il male minore». Poi, rispondendo alla domanda di un giornalista, ha spiegato di non aver «mai usato» l'espressione «staccare la spina» riferita all'esecutivo. «Noi abbiamo convenuto di sostenere questo governo – ha chiarito l'ex premier – che oggi ha ottenuto la fiducia con un voto compatto dei senatori del Pdl». E soprattutto, ha insistito, sul decreto «Salva Italia» il suo partito «ha garantito compattezza».Ma il sì al provvedimento non vuol dire fiducia incondizionata a tutto quello che Monti e i suoi ministri porteranno in aula. Berlusconi lo aveva già detto al premier nel colloquio a palazzo Chigi di mercoledì e ieri lo ha voluto specificare ancora una volta: il Pdl ha diritto di essere consultato sulle decisioni che prende il governo. «Abbiamo detto in maniera chiara a Monti che siccome siamo il principale partito i provvedimenti devono essere discussi prima con noi, come succede tra il principale partito e il governo solitamente». E il prossimo appuntamento per l'esecutivo è il testo sulla crescita. Nel quale potrebbe essere contenuta anche l'abolizione dell'articolo 18, provvedimento sul quale il Pdl è in parte favorevole. Ma è chiaro che il decreto «Salva Italia» è l'ultimo che Berlusconi e i suoi hanno accettato a scatola chiusa. I prossimi provvedimenti, visto che riguardano la parte che dovrebbe spingere il Paese ad uscire dallo stagno della crisi, dovranno essere ampiamente negoziati. E in attesa di sapere cosa intende fare Monti, Berlusconi si dedica a ricucire alleanze in vista delle prossime elezioni. Con la Lega la tensione è ancora alta, anche se l'ex premier ai suoi confessa che in realtà si tratta solo di un gioco delle parti. Tanto è vero che ha preferito non replicare direttamente alla frecciata che gli ha lanciato in mattinata da Bolzano Umberto Bossi: «Mi sembra che Berlusconi abbia troppa paura. Sta lì buono come una pecorella». L'ex premier ai giornalisti che lo hanno bloccato all'uscita del Tribunale di Milano dove ieri ha assistito al video-interrogatorio dell'avvocato David Mills ha spiegato sorridendo che la Lega «è tornata quella di qualche anno fa, fa opposizione e si diverte anche molto». E comunque, ha aggiunto, «sono simpatici». Ma in vista del 2013 continua a guardare anche all'Udc. «Sarebbe puro masochismo non arrivare ad una alleanza nel centrodestra e ragioneremo insieme – spiega – Casini è un tema importante nel centrodestra, perché ha elettori moderati e in Europa sta con noi». E comunque, aggiunge, «nelle elezioni nazionali l'Udc o rientra nel centrodestra o corre da solo». Ma Berlusconi è anche alle prese con un altro tema, il cambio del nome del partito. Un tormentone che va avanti da tempo perché il Cavaliere è convinto che l'acronimo Pdl non abbia più appeal politico. E anche perché spesso viene declinato al femminile. Secondo le ultime indiscrezioni vorrebbe che nel nuovo «marchio di fabbrica» della sua creatura politica figurassero le parole «Italia e libertà», ma il puzzle grafico non è facile da comporre in tempi brevi. Bisogna infatti mettere d'accordo le varie anime (soprattutto gli ex An) e tener conto delle preferenze di eventuali alleati in vista delle prossime amministrative. Attualmente ci sarebbero alcune opzioni sul tavolo, soddisfacenti sul piano giuridico e politico. In ogni caso, raccontano gli uomini vicini al Cavaliere, la «pratica» sul logo sarà affrontata e definita a tempo debito, cioè quando diventerà concreta l'ipotesi di elezioni.