Un forum tra i partiti e l’esecutivo
Breve ripassino delle puntate precedenti. Corriere della Sera, 18 dicembre, il ministro Elsa Fornero parla di riforma del lavoro e articolo 18: «Non ci sono totem e quindi invito i sindacati a fare discussioni intellettualmente oneste e aperte». Viene giù il diluvio. Il Pd va in mille pezzi, Bersani fa il restauratore di mosaici, il governo si accartoccia, il sindacato spara a raffica. Patatrac politico. Passano tre giorni e tre notti. Ansa, 21 dicembre, il ministro Fornero continua a parlare e a Porta a Porta chiosa: «Vogliamo lasciarlo stare questo articolo 18?». Non voglio infierire, è Natale e siamo tutti più buoni. Ma se qualcuno voleva un esempio sul come non si gestisce una partita politica di questa importanza e sul come la comunicazione del governo Monti sia inadeguata, ecco il pasticcio. Era chiaro fin dall’inizio che parlare di riforma dell’articolo 18 avrebbe provocato un terremoto. Era lampante che non ci sarebbe stato margine di manovra con la Cgil. Era sotto gli occhi di tutti che il Pd non avrebbe retto al richiamo della foresta. E mentre si consumava l’ennesimo psicodramma a sinistra, Berlusconi riacquistava l’abito di regista della crisi. Il pranzo con Monti ha certificato che senza il Cav non si va da nessuna parte. Non c’è partita senza i voti del Pdl, ma soprattutto senza il suo leader. È questa la verità della giornata politica, il resto è chiacchiera e baruffa di Palazzo. La transizione si fa con Berlusconi e non contro di lui. Si concorda con il Pdl e non senza. La rotta è sicura solo se c’è un disegno condiviso e non una mappa dove si tracciano i punti e poi si comunica alla ciurma parlamentare che si rema verso un dove sconosciuto. Credo che in questi giorni l’esecutivo abbia capito che con il Parlamento non c’è da scherzare. Un esecutivo d’emergenza, figlio di uno «stato d’eccezione», ha poteri straordinari, ma nello stesso tempo è fragile perché privo della fonte di legittimazione sovrana: il voto del popolo. Proprio per questo a Palazzo Chigi dovrebbero imparare a memoria la lezione: a Montecitorio e Palazzo Madama bisogna andarci con le idee chiare, bisogna presentarsi solo dopo aver mandato avanti gli sherpa per capire com’è il terreno, vedere se il sentiero è spianato o pieno di trappole. Se Giarda va in aula e la Lega comincia a usare i fischietti, siamo non solo nel campo del rumorismo, ma del filibustering e allora il governo deve avere una strategia per combatterlo, aggirarlo e andare avanti. Un governo sostenuto dai partiti ma senza partiti ha bisogno per forza di un «gabinetto di guerra» per affrontare un simile fuoco di sbarramento. È evidente che di questo passo non si va lontano. Servono un forum di consultazione permanente tra Palazzo Chigi e i partiti e un piano di lavoro che tenga conto anche delle Camere. Ribadisco il concetto: bisogna tenere impegnato il Parlamento. Dargli una missione. Berlusconi ha fatto bene a dire che bisogna usare quel che resta della legislatura per avviare le riforme. A questo serve il Parlamento. Se un onorevole vaga senza meta, perde il suo ruolo (di maggioranza e opposizione) e dopo essersi smarrito cerca un giochino nuovo per non morire di noia. Quale? Il ribaltone del governo votato dai ribaltonati consenzienti. Un’altra meraviglia italiana.