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La Lega fischia la manovra: «Razzista e anti Padania»

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Tuttoha avuto inizio con l'intervento di Roberto Calderoli. Un messaggio urlato in aula che si è concluso con la richiesta di dimissioni per il premier Mario Monti. «La manovra è un provvedimento razzista nei confronti del Nord e della Padania», è il suo sfogo. Un vero affronto nei confronti di chi nel 2008 aveva scelto come presidente del Consiglio Berlusconi, Veltroni o Casini. E per questo Calderoli, parlando di «tradimento del mandato democratico», torna a chiedere al Cav di accettare la proposta di Bossi e mandare a casa il governo («stacchi la spina, proprio come un rasoio») anche perché gli unici che possono mandare a casa Monti sono solo quelli del Pdl dato che, come ha ribadito ieri il leader del Carroccio, Monti non darà mai le dimissioni «perché ambisce a diventare presidente della Repubblica». Concetti che non sono piaciuti a Schifani che, come aveva fatto Napolitano martedì, ha immediatamente difeso il governo rigettando le accuse di chi sostiene che con il suo insediamento ci sia stato un commisariamento della politica: «È un governo votato in Parlamento sulla base dell'assunzione di responsabilità da parte di alcune forze politiche che hanno preferito evitare le urne in un momento di crisi». Parole che hanno lasciato indifferenti i lumbard che proprio in Aula hanno continuato la loro netta opposizione alla manovra. In prima linea la vicepresidente dell'Aula Rosy Mauro: «Non so come i colleghi potranno votare questo provvedimento. È una vergogna questa manovra è iniqua, ingiusta e penalizza sempre i soliti noti. Altro che manovra "salva Italia" questa è una manovra "ammazza-paese" e "ammazza-padania", che sarà dissaguata». Poi in serata, poco prima che il governo ponesse la fiducia sulla manovra, la Lega si è lasciata andare e ha scatenato un «inferno» di fischi. E mentre l'aula per oltre cinque minuti è stata soverchiata dal rumore assordante Schifani si è sfogato: «Vergognatevi, siamo caduti in basso. Non siamo allo stadio. È uno scempio per un'aula parlamentare».

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