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Il patto per le riforme e la sfida di Casini

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Specie se sprovvisto di retropensieri tattici, magari funzionali a qualche pur legittima ambizione di carriera, sarebbe sicuramente un affare per il Paese il patto costituzionale proposto ieri da Pier Ferdinando Casini ai segret In particolare, il leader dell'Udc, e del terzo polo, punta alla riforma del bicameralismo, in modo da evitare che Camera e Senato continuino ad avere le stesse competenze e a fare ripetitivamente e costosamente lo stesso lavoro; alla riduzione del numero dei parlamentari; alla modifica dei regolamenti di Montecitorio e di Palazzo Madama e ad una nuova legge elettorale. A proposito della quale, però, sembra di capire che Casini, notoriamente favorevole ad un sistema analogo a quello tedesco, non abbia fretta di intervenire prima di sapere se la Corte Costituzionale ammetterà i referendum parzialmente abrogativi di quella in vigore, promossi da varie parti. E, in caso affermativo, prima di conoscerne i risultati, diversamente da quanti, avendo più fretta, ritengono opportuno precedere, anzi evitare i referendum, se ammessi dalla Corte, modificando la legge in Parlamento. Trovo comprensibile, ed anche condivisibile, un'aspirazione dei partiti a condurre il convoglio delle riforme istituzionali, ora che hanno dovuto accettare, per i loro errori e ritardi, e per l'intervento del presidente della Repubblica, che a guidare il convoglio della finanza, fra i marosi della crisi economica e la volatilità dei mercati, sia il governo tecnico di Mario Monti. Che pure qualche consiglio e contributo potrebbe dare anche alle riforme istituzionali, che non sono prive neppure esse di aspetti tecnici. Ma vorranno veramente, e soprattutto saranno in grado i partiti e i rispettivi gruppi parlamentari di fare presto e da soli il lavoro delle riforme istituzionali più urgenti, rendendo davvero costituente almeno la parte finale di questa legislatura? La quale nacque - non dimentichiamolo - nel 2008 proprio con propositi costituenti, sostenuti e condivisi sia dal cartello elettorale di centrodestra guidato verso le urne da Silvio Berlusconi sia dal cartello elettorale di centrosinistra guidato, allora, dal segretario del neonato Pd Walter Veltroni. Che però, incalzato sulla strada di un antiberlusconismo pregiudiziale dallo scomodissimo alleato Antonio Di Pietro, preferito nel cosiddetto apparentamento elettorale ai socialisti rimasti a sinistra, si tirò rapidamente indietro. Egli prese a pretesto per quella retromarcia, che peraltro non gli portò molta fortuna alla guida del suo partito, esauritasi di lì a poco, la fretta con la quale Berlusconi, già da tempo nel mirino di una magistratura a dir poco accanita nei suoi riguardi, volle mettere sul tavolo e risolvere il problema del cosiddetto scudo giudiziario del presidente del Consiglio. Che la Corte Costituzionale avrebbe poi bocciato. I dubbi sulla effettiva volontà o/e capacità dei partiti di giocarsi davvero la partita delle riforme istituzionali in questo sostanzioso scorcio di legislatura li fa venire purtroppo proprio Casini con la lettura di una sua lunga intervista pubblicata ieri. Nella quale il leader dell'Udc parla anche della prossima come di una legislatura costituente, in cui il suo e gli altri due partiti non dovrebbero poter fare a meno di collaborare, come di fatto fanno già ora appoggiando il governo Monti. Che Casini si vanta, non a torto, di sostenere senza riserve, diversamente dal Pdl e dal Pd, ma al tempo stesso ritiene destinato, «nonostante le grandi qualità e capacità» del presidente del Consiglio, a non concludere il suo difficile compito di risanamento economico nei 15 mesi che mancano alla scadenza ordinaria delle Camere e alle elezioni. Un patto costituzionale non solo per la parte residua di questa legislatura ma anche per tutta la prossima, ha o rischia tuttavia due inconvenienti. Il primo è di depotenziare l'impegno riformatore da qui alle elezioni prevedibilmente ordinarie del 2013, potendo crescere la già abituale tentazione della politica italiana di aggirare le difficoltà, quando si presentano o aumentano, rinviandone la soluzione a tempi migliori, visto che già se ne prenotano di più lunghi. Il secondo rischio è di rendere il patto indigesto a uno o ad entrambi i partiti maggiori che Casini vorrebbe associare. E che, già molto sofferenti per questo passaggio del governo tecnico, potrebbero non essere in grado di accettare una sostanziale proroga, magari sotto forme diverse: per esempio, quella di un governo non più del tutto tecnico ma misto, in modo da coinvolgere di più i partiti chiamati a sostenerlo e i loro uomini, messi o messisi ora politicamente a dieta. Un governo, magari, il cui segno di continuità - si dice così? - potrebbe essere proposto e trovato nella conferma a Palazzo Chigi di Mario Monti. So di addentrarmi a questo punto in un ragionamento o scenario che i politici, o almeno i più professionali e piazzati di loro, non gradiscono leggere sui giornali o sentire alla radio e alla televisione perché se ne sentono quasi offesi, essendo in gioco i loro progetti personali, le loro ambizioni, le loro concorrenze. Ma non vi è paura di offendere o di apparire indiscreti che possa trattenere dal ragionare i giornalisti. Ai quale del resto il senatore a vita Giulio Andreotti, che di giornalismo e di politica s'intende come pochi avendo praticato sia l'uno che l'altra, ha più volte ricordato che a pensare male si fa peccato ma s'indovina. Non so se spesso o sempre. Se venisse destinato a Palazzo Chigi anche nella prossima legislatura, Monti sarebbe escluso dal novero dei successori di Giorgio Napolitano, il cui mandato al Quirinale scadrà in coincidenza con la fine del mandato delle Camere attuali. Altre candidature potrebbero pertanto avvantaggiarsene, compresa quella di Casini, se non a cominciare da essa, per il primo adempimento delle nuove Camere, costituito proprio dall'elezione del nuovo capo dello Stato. Se non si avrà magari la felice idea di confermare il presidente uscente per rinviare la scelta del successore con l'elezione diretta, da introdurre in una riforma costituzionale. Se ne parlò, ma inutilmente, anche ai tempi di Francesco Cossiga.

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