Fornero sfida la Cgil sull'articolo 18
La Cgil si è già messa di traverso, il terzo Polo ha fornito il suo appoggio e così pure il Pdl mentre il Pd è in mezzo al guado. Lo schieramento sull'ipotesi di riformare il mercato del lavoro che passa attraverso la revisione dell'articolo 18, è questo. Le dichiarazioni del ministro del Lavoro, Elsa Fornero, erano attese da giorni. Ieri l'intervista al Corriere della Sera nella quale la Fornero dice chiaro e tondo cosa intende fare. Ovvero basta con i contratti precari ma basta anche con il tabù dell'articolo 18, di cui bisogna almeno discutere. «Non ci sono totem» sui temi del lavoro e, in particolare, sull'articolo 18, dice il ministro che invita i sindacati «a fare discussioni intellettualmente oneste e aperte». I tempi per affrontare questo tema potrebbero slittare ma il percorso è segnato. La riforma delle pensioni, sottolinea il ministro, «deve accompagnarsi a quella del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali e, anche se non è di mia competenza, della formazione. Sono tutti aspetti di un disegno di riforma del ciclo di vita». «Forse non ce la faremo» a partire entro il 31 dicembre come prevede la manovra, ha detto il ministro, «perché vorrei presentarmi alle parti con delle analisi approfondite sulle diverse questioni». Sul tavolo c'è anche la riforma della contrattazione. Il modello di riferimento, anche se non lo dice esplicitamente, è quello del contratto unico introdotto da Marchionne negli stabilimenti Fiat. Certo che la contrattazione, spiega il ministro, «è materia tra le parti. Ma noi vogliamo presentare ad esse le nostre analisi e spingerle non a ridurre i salari, ma a riflettere sulla necessità di avvicinarli il più possibile alla produttività». Il che significa ridurre la parte della busta paga legata al contratto nazionale e dare più peso a quello aziendale modulato sulla produttività. La Fornero torna poi sulle pensioni. «Siamo tutti concentrati sulla contingenza, ma questa è una riforma strutturale. Per funzionare ha bisogno di un sistema in crescita. Non ci possiamo permettere la stagnazione e tantomeno la recessione». La manovra quindi «non poteva che essere forte. La priorità era di mandare un segnale deciso all'Europa sulla nostra capacità di riequilibrare il sistema secondo equità intergenerazionale». Il ministro sottolinea il ruolo che spesso ha avuto la previdenza «come un ammortizzatore sociale, per cui tutte le riorganizzazioni d'impresa sfociano in prepensionamenti». Al leader della Cisl che aveva detto, «questa manovra sembra scritta da mio zio» replica che «l'equità c'è, magari non quanto lui vuole, e il rigore c'è, e non ne potevamo fare a meno, pena la messa a rischio dei risparmi degli italiani e il non pagamento delle tredicesime». Quanto ai privilegi, i regimi speciali (elettrici, telefonici, trasporti, dirigenti d'azienda, ndr) sono stati colpiti con il contributo di solidarietà e comunque chi è stato risparmiato, sarà comunque toccato a breve. «Per alcune categorie, come militari e magistrati, c'è un rinvio, ma solo per approfondire le specificità dei loro ordinamenti. Nessuno si illuda che non interverremo. Stessa cosa per le casse dei professionisti. Lo so che qui dentro c'è buona parte della classe dirigente, ma sicuramente procederemo». Ma la replica della Cgil non si è fatta attendere. «Sì al confronto ma l'articolo 18 non si tocca. Piuttosto discutiamo di lotta alla precarietà». Il segretario confederale Fulvio Fammoni spiega così la posizione della Cgil. «Se si vuole combattere la precarietà - dice il dirigente sindacale - occorre intervenire cancellando tante forme di lavoro precario delle oltre 40 esistenti, intervenendo sul costo, facendo costare di più il lavoro precario rispetto a quello a tempo indeterminato, cosa che ad esempio non è stata fatta nella manovra per quanto riguarda l'intervento sull'Irap». L'articolo 18, incalza, «era l'ossessione del precedente ministro del Lavoro che ha impedito qualsiasi vera riforma». Cautela sull'art.18 da Alfano. «Non abbiamo mai considerato un tabù l'articolo 18, ma dobbiamo fare di tutto per garantire l'occupazione - ha detto il segretario del Pdl - Sulle politiche del lavoro occorre considerare i numeri che arrivano dal bilancio dello Stato, ma sempre in queste politiche del lavoro non bisogna mai dimenticare che dietro ogni numero c'è una persona».