"Sbagliato il pacchetto Giustizia, i tecnici si stanno allargando"
Parla piano. Quasi a bassa voce. Ma le sue parole sono un po' come della sassate. «Mi pare che il governo tecnico si stia un po' allargando». «Ci fanno tornare indietro di venti anni». «Agiscono senza concordare nulla». Di sicuro Alfredo Mantovano, ex sottosegretario all'Interno ed ex magistrato, non è molto contento del pacchetto giustizia appena varato dal ministro Paola Severino. Onorevole, che cosa non l'ha convinta di questo provvedimento? «Ci sono due questioni. Una di metodo e una di merito. Preferisco partire dalla seconda». Bene, allora? «Allora il decreto appena approvato dal Consiglio dei ministri stabilisce che in alcuni casi la parte finale della pena, l'ultimo anno e mezzo, possa essere scontato a casa agli arresti domiciliari. Se voleva essere una norma che seguisse la ratio della manovra, il risparmio e basta, è una decisione che non avrà molto effetti». Perché? «Perché costringerà polizia e carabinieri ad andare sul posto a fare i controlli a casa dei detenuti. Il che già comporterà un costo economico. A cui va aggiunto il costo sociale perché così si distolgono uomini e mezzi dal contrasto della criminalità organizzata». D'accordo, ma già Alfano quand'era ministro aveva previsto una soluzione del genere. «Sì, ma non l'aveva applicata. E poi aveva previsto solo l'ultimo anno di pena che qui è stato allungato a un anno e mezzo: non è poco. C'è inoltre un altro aspetto critico». Quale? «Viene previsto che per i reati che vanno giudicati per direttissima gli arrestati finiscano nelle celle di sicurezza delle stazioni o della compagnie. Ebbene, non esistono più da venti anni». E allora? «Allora il personale intanto non svolge più quelle mansioni di sorveglianza oltre che di assistenza, visto che i detenuti hanno diritto anche al vitto, da anni. Per questo tipo di soluzioni è stato previsto e formato il personale della polizia penitenziaria. È una scelta, quella del governo, che ci fa tornare indietro di due decenni». Però può alleggerire il peso sui detenuti? «Ma nient'affatto. Le celle di sicurezza sono stanzini per una persona. Non dico che quelle dei penitenziari siano camere d'albergo ma non c'è dubbio che la socializzazione con gli altri detenuti, la possibilità di avere degli spazi all'aperto posso essere dei sollievi. Tanto è vero che credo che gli stessi uffici del dicastero abbiano espresso notevoli perplessità sul provvedimento». Ma lei è sicuro che almeno non comporti alcune migliori spese? «Penso che aumenterà i costi. Immagini soltanto quelle celle di sicurezza che oggi sono diventate rispostigli. Intanto bisognerà riattarle. Per non parlare del fatto che i nuovi edifici nemmeno sono previsti. Anche qui si dovrà intervenire con lavori. Ebbene, tutti quei soldi - se proprio si devono impiegare - non è meglio usarli per fare un concorso straordinario per assumere nuovi agenti penitenziari?». Ma non sono misure che sono state concordate con il suo partito? «Non mi risulta. E comunque mi sembra che questi tecnici si stanno piuttosto allargando». «Scusi onorevole, ma questa sensazione nel suo partito c'è da quando è nato questo esecutivo. Il caso D'Andrea tanto per cominciare: il Pdl aveva chiesto non facesse parte della compagine ed è regolarmente sottosegretario. Sì, è vero. Ma poi c'è il Parlamento e in Parlamento proporremo delle modifiche per esempio al pacchetto giustizia». Il ministro Severino ha anche aperto all'amnistia, che cosa ne pensa? «E ci risiamo. Ha detto che non la escludeva ma era materia del Parlamento. Ma se a decidere devono essere Camera e Senato perché ha espresso una preferenza? Bastava dicesse che era materia delle Aule e basta. Così ha dato la sensazione di voler indirizzare il dibattito oltretutto introducendo un tema che sino a quel momento non era all'ordine del giorno. Ovvero, un ministro tecnico ha costretto le forze politiche a discutere di una questione che gli stessi partiti avevano scelto di accantonare». Secondo lei si sta avvicinando la fine dell'appoggio del Pdl a questo governo? «Il mio partito ha fatto una scelta più di cervello che di stomaco. È stata una scelta sofferta ma fatta con convinzione. Eppure i numeri della fiducia si sono ristretti notevolmente, per non parlare dei voti ottenuti soltanto dalla manovra: ancora più ristretti. Il governo ne deve tenere conto. Non può fare finta di nulla e non guardare al disagio che le sue scelte stanno provocando negli schieramenti e nei partiti, in particolare di quelli che lo sostengono».