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"L'articolo 18 è un pezzo da museo"

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Francesco Boccia coordinatore delle commissioni economiche del Pd

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«Chi oggi litiga sull'articolo 18 in realtà lo fa perché non vuol cambiare nulla, sia tra i conservatori che tra i presunti riformisti. Sono altre le sfide che attendono il governo Monti». Lo scontro sull'articolo 18 tra governo e sindacati anima i partiti, e Francesco Boccia - deputato e coordinatore delle commissioni economiche del Pd - non intende lasciarsi travolgere. Economista, parte dai numeri.   Per il partito democratico l'articolo 18 non rappresenta una priorità, Bersani lo ripete da giorni. Ma, tatticismi a parte, lei cosa pensa? «Io penso a quei 12 milioni di italiani che lavorano senza tutele. Otto milioni lavorano nelle piccole imprese, due milioni sono precari e altri due milioni entrano ed escono dalla disoccupazione. Queste persone vivono già in un mondo senza articolo 18. La loro condizione non migliora: la loro vita dipende semplicemente da come vanno le imprese in cui lavorano». Quindi fa bene il ministro Fornero ad aprire una discussione a riguardo? «Il nostro Paese ha innanzitutto il maledetto bisogno di aprire tutti i mercati chiusi, di scardinare tutti i monopoli e gli oligopoli. Se la classe dirigente non lo fa è colpevole». Come procedere? «Il governo Monti deve portare al più presto in Parlamento il ddl concorrenza, accompagnandolo a tutta una serie di liberalizzazioni che vadano dai trasporti, all'energia, agli ordini professionali. Io devo poter vendere casa via fax, così come ho fatto dodici anni fa in Gran Bretagna, non in Cina. Poi mi aspetto un provvedimento di politica industriale che ridia dignità al settore. A quel punto, un minuto dopo, il ministro Fornero potrà procedere con la riforma del mercato del lavoro».   E si potrà parlare anche di articolo 18? «Certamente. Parlarne oggi serve solo a dividere. L'articolo 18 è un pezzo da museo. Farlo passare come la soluzione di tutti i problemi che attanagliano il mondo del lavoro è disonesto, ma anche farlo diventare un totem intoccabile è poco credibile». Fine dei tabu, allora? Anche per il Partito democratico? «Il muro di Berlino è caduto da tempo. Anche qui da noi. Serve una terza via. Bisogna ripartire da quei 12 milioni di cittadini che già lavorano senza articolo 18. Dobbiamo pensare ai lavoratori under 45: sono loro che manterranno il Paese» Sbaglia la Camusso, allora, quando dice che è «una norma di civiltà»? «No. Stando questo mercato del lavoro hanno ragione i sindacati. Solo se riusciamo a cambiarlo aprendo tutti i mercati, si può fare a meno dell'articolo 18. A quel punto diventerebbe un pezzo da museo, perché si creerebbero centinaia di migliaia di posti di lavoro». Vendola e Di Pietro sono stati chiari: per loro l'articolo 18 non si tocca. L'alleanza immortalata dalla foto di Vasto finisce qui? «Una fotografia è una fotografia, non un'alleanza. Pd, Idv e Sel non sono mai stati insieme al governo del Paese. A Vasto c'è stato un incontro tra leader politici, ma uno dei possibili incontri». L'alleanza di Vasto, però, in occasione degli ultimi referendum ha funzionato... «Il risultato del referendum è stato straordinario perché siamo riusciti a mobilitare anche elettori di centrodestra. Magari avessimo 26/27 milioni di elettori! Se va bene, con Vendola e Di Pietro, arriviamo a 14/15 milioni». Meglio allargare al Terzo polo? «Le alleanze si costruiscono attorno ai temi centrali, adesso sarebbe affrettato e semplicistico parlarne. Esiste un'unica certezza: l'alternativa al governo Pdl-Lega si fa solo con il Pd. Detto questo, se mi chiede se si possa fare una nuova alleanza ripartendo dal riformismo del Pd, io penso di sì. Credo che il Terzo polo, e in particolar modo l'Udc, possano apprezzare i passi storici fatti in chiave riformista dall'Ulivo prima e dal Pd adesso».

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