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Il Professore rimproverato dagli "alunni" del Parlamento

Il premier Mario Monti a Montecitorio

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Non c'era bisogno di un binocolo nelle tribune della stampa per cogliere ieri mattina sul volto di Mario Monti alla Camera un curioso segno prima di sorpresa e poi di accettazione quando il capogruppo del Pd Dario Franceschini, pur confermandogli la fiducia per la manovra economica, gli ha un po' tirato le orecchie. Ed ha in qualche modo cercato di affrancare le aule parlamentari dall'immagine un po' scolastica emersa sino a quel momento: con il presidente del Consiglio e i ministri nel ruolo di insegnanti, non dismesso evidentemente dopo il loro approdo ad un governo tecnico, e i parlamentari nel ruolo di allievi. I quali tuttavia sono gli unici, nel loro genere, a potere, anzi a dover dare loro i voti ai professori, approvandone o bocciandone le proposte o decisioni, e non viceversa. In particolare, Franceschini ha invitato il presidente del Consiglio a smetterla di parlare di «noi e voi», come gli era capitato più volte di fare nei giorni precedenti, per attribuire al «noi» dei professori-ministri il merito di avere dovuto adottare misure scomodissime ma necessarie per il risanamento dei conti del Paese e al «voi» del Parlamento la colpa di non avervi provveduto prima. E probabilmente anche in tempo per rendere quelle misure meno gravose e impopolari. È ora insomma - ha sostenuto Franceschini - che anche i professori o tecnici del governo si sentano della difficile partita che si sta giocando e si diano del «noi» insieme con gli altri, magari limitando il «voi» agli oppositori. Che sono notoriamente i leghisti e da ieri anche i dipietristi. Monti aveva appena incassato il richiamo del capogruppo del Pd che se l'è sentito ripetere dall'omologo del Pdl Fabrizio Cicchitto, avvertendo forse questa volta più sollievo che sorpresa, potendo cogliere nella sintonia tra gli interventi dei presidenti dei primi due gruppi della Camera la manifestazione, finalmente, di una loro più convinta, meno casuale o inconsapevole partecipazione alla stessa maggioranza. Che sino all'altro ieri esponenti di entrambi quei partiti, nei salotti televisivi e nelle interviste ai giornali, spesso precedevano con l'aggettivo «cosiddetta», lasciando solo al terzo polo di Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini e Francesco Rutelli la rivendicazione orgogliosa della partecipazione al nuovo fronte governativo realizzatosi dopo le dimissioni di Silvio Berlusconi da presidente del Consiglio. Da una maggiore chiarezza nei rapporti tra il governo e i partiti, e relativi gruppi parlamentari, che lo sostengono, e fra gli stessi partiti, hanno da guadagnare tutti. A cominciare naturalmente dal presidente del Consiglio, che ha fatto bene nell'intervento conclusivo di ieri sera sulla manovra a recepire l'invito a non distinguere più tra il «noi» e il «voi», pur cercando un pò di scherzarci sopra, con l'umorismo che sempre più ricorda lo stile andreottiano. E che, unito al laticlavio conferitogli dal capo dello Stato prima ancora dell'incarico di governo, ne può fare un politico a tutto tondo, senza sottrarlo a scomodi annunci, come quello ripetuto per un intervento sulla disciplina del mercato del lavoro. Come primo, positivo risultato della svolta impressa con il «noi» reclamato insieme dal Pd e dal Pdl al posto del «voi» si è avuta l'opportunità avvertita da Cicchitto, nell'aula di Montecitorio, di contestare decisamente l'opposizione della Lega, ancora inseguita o addirittura corteggiata invece nel Pdl da molti. Che ignorano o dimenticano i danni procurati dai leghisti allo stesso Pdl e all'ultimo governo del Cavaliere, contrastando con ostinazione nella scorsa estate l'adozione di tutte le misure sollecitate con tanto di lettera dalla Banca Centrale Europea, e condivise dall'allora presidente del Consiglio, per fronteggiare con la necessaria tempestività gli sviluppi della grave crisi economica e finanziaria.

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