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La dura legge della mancanza di alternativa

Il premier Monti

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La politica italiana è un arabesco, uno stile ornamentale che si posa sul Palazzo con meticolosa cura dimenticando un particolare: le mura dell'edificio sono marce. I partiti hanno deciso di fare un passo indietro di fronte alla crisi del debito sovrano, si sono assunti la responsabilità di dire che «non ce la facciamo, meglio un governo tecnico», ma poche settimane dopo gli stessi partiti con bizzarra prontezza si ritrovano a criticare la manovra economica del governo Monti, salvo il fatto di non averne una migliore da proporre in tempo reale o differito. Il Pd intima al presidente del Consiglio di non fare la riforma dell'articolo 18 (madre di tutte le battaglie contro il Cavaliere Nero), mentre il Pdl con Silvio Berlusconi dice che «Monti è disperato», che «ha fatto marcia indietro su tutto» e «non ce la fa». Bene, poniamo che il Cavaliere abbia ragione, la domanda che pongo è la seguente: qual è l'alternativa? Gadda direbbe che questo il grande «gnommero del mondo», il gomitolo da riordinare per capire dov'è l'uscita dal dedalo. Così, in quel Pasticciaccio che è diventata la politica italiana, restiamo alle premesse, alle promesse, ma non arriviamo mai alla conclusione positiva, a un happy end del nostro racconto collettivo. Perché Berlusconi e Bersani non si incontrano, si guardano in faccia e ammettono una cosa semplice: siamo stati poco realisti, abbiamo fallito entrambi nella missione di riformare il Paese, mancano poco più di dodici mesi alla fine della legislatura, diamo una mano seriamente a Monti per fare quel che serve: tenuta dei conti pubblici, riforme economiche, riforma del bicameralismo perfetto, nuova legge elettorale e poi andiamo a votare e vinca il migliore? Non ci vuole molto, basta ricordarsi che in gioco ci sono i risparmi degli italiani. É inutile voltarsi indietro, rinfacciarsi gli errori e tirarsi le torte in faccia. Qui la prospettiva non è quella del passato, ma di andare avanti e arrivare al 2013 senza rompersi le ossa, di fare come diceva Indro Montanelli: niente bischerate, turatevi il naso, votate e todos caballeros. Che senso ha, caro Berlusconi, dire che «Monti non ce la fa»? I mercati queste cose le registrano e le traducono in punti di capitalizzazione di Borsa persi. E caro Bersani, che motivo c'è di continuare a dire che la riforma delle regole sul lavoro non si può fare e l'articolo 18 è un totem? Esprimere opinioni è più che legittimo, ma poi la politica ha bisogno di esser tradotta in atti legislativi, altrimenti siamo nel pieno di un teatrino che produce una sola cosa: l'antipolitica, anticamera urlante di ogni dittatura. Il quadro dei sentimenti che percorrono il Paese a me pare chiaro: abbiamo la rabbia dei cittadini che chiedono più equità sociale; la disperazione di chi non riesce a sbarcare il lunario; la delusione di chi sognava liberalizzazioni e privatizzazioni; la rassegnazione di chi tanto paga sempre lui le tasse; la speranza di chi pensa che con Monti forse ci salviamo; la gioia di chi gioca al tanto peggio tanto meglio; il terrore di un fallimento finanziario. Manca una sola cosa, a tutti: l'amore per l'Italia.

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