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Fini e Schifani: toglieremo le indennità

Il presidente della Camera Gianfranco Fini con il presidente del Senato Renato Schifani

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Ma quale taglio degli stipendi, gli onorevoli vanno all'attacco. Poco importa che i presidenti di Senato e Camera, Schifani e Fini, ribadiscano che la riduzione si farà presto. Loro non mollano. C'è chi mette in guardia dall'antipolitica, chi avanza giustificazioni ideologiche e chi, invece, provoca: «A questo punto tagliateci la testa!». La manovra del governo Monti aveva previsto (al comma 7 dell'articolo 23) di portare i compensi dei parlamentari italiani (12 mila euro al mese) al livello di quelli europei (circa 7 mila euro). Ma non c'è stato niente da fare. La Camera e il Senato hanno autonomia di bilancio e quindi una misura del genere può essere decisa soltanto dall'ufficio di presidenza delle due istituzioni. Ma niente rinvii. Dopo i risultati attesi dalla Commissione presieduta dal presidente dell'Istat Giovannini, che sta preparando un dossier per confrontare gli stipendi dei politici dei Paesi europei, si procederà ai tagli. «Non corrisponde al vero - hanno scritto Schifani e Fini in una nota congiunta - quanto ipotizzato da alcuni organi di informazione circa la presunta volontà del Parlamento di non assumere comportamenti in sintonia con il rigore che la grave crisi economica-finanziaria impone a tutti». Ma la polemica è innescata. «Non è più tollerabile per le persone oneste che hanno accettato di dedicarsi alla politica, uscire di casa, acquistare il giornale e sentirsi, in questo caso senza alcun motivo reale, insultati e additati come bersaglio di un odio ormai irreversibile», spiega il deputato del Pdl, Guido Crosetto, che ha firmato un emendamento per chiedere che gli stipendi dei parlamentari, adeguati alla media europea, diventino il «parametro» per tutte le altre retribuzioni della Pubblica Amministrazione. Poi Crosetto se la prende con i giornalisti. «Mi sono stufato di essere messo alla berlina in quanto eletto in un'istituzione democratica, ogni giorno, spesso mistificando la realtà, da persone che nella loro vita privata, nella loro storia e nel loro quotidiano non hanno fatto nulla in più o meglio di me, e che solo per il fatto di aver l'onore di scrivere su un giornale, possono permettersi di insultare, deridere, diffamare e cercare di far uccidere moralmente e fisicamente, perché questo è il punto cui arriveremo tra poco, altri cittadini come loro che nulla hanno fatto di male se non essere eletti». Non usa mezzi termini nemmeno un altro deputato del Pdl, Francesco Giro: «Suggerirei di tagliare ai parlamentari oltre agli stipendi anche la testa. Ormai demonizzare chi fa il deputato o il senatore è uno sport nazionale a scapito della verità dei fatti». Michele Ventura, del Pd, precisa: «Non difendo la casta, ma la politica» e spiega: «Penso che chi sta orchestrando questa campagna contro i parlamentari, abbia in mente di farne a meno, di riservarla ai ricchi di famiglia». Alessandra Mussolini (Pdl) non rinuncia a una provocazione: «Dato che i cittadini vedranno aumentare le tasse per recuperare anche fiducia nei confronti della classe politica, penso che bisogna eliminare del tutto vitalizi e indennità, i tagli non servono a niente. Poi chi ha la possibilità farà politica, chi non lo potrà fare non la farà». Il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini, sottolinea: «Chi più ha, più deve dare. Entro il 31 dicembre, nei tempi stabiliti dal governo, ci devono essere i tagli anche per noi». Rocco Buttiglione, sempre Udc, avverte: «Non è questo il momento per i Parlamentari di chiudersi in difesa del proprio stipendio e anche delle cose realmente ingiuste, come la questione dei vitalizi». E se Anna Cinzia Bonfrisco (Pdl) getta acqua sul fuoco, precisando che «il Parlamento è consapevole di quanto sia importante la riduzione dei costi della politica in un momento così grave per il Paese», polemizza il leghista Piergiorgio Stiffoni: «Se vogliono una classe politica di sciattoni, è una scelta che si può fare, ma mi sembra che un certo decoro ci debba essere anche di chi lavora in Parlamento».

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