De Gregori canta il nuovo inizio
Una medicina, per quanto amara, quando serve tocca prenderla. Nell'epoca del governo Monti gli Italiani lo hanno capito. E inghiottono con misurati mugugni. Ma il bello del governo Monti è anche la mancanza di look... c'è chi la pensa così? E come no: un grande della nostra canzone, un poeta, appena appena di parte: Francesco De Gregori. Quello della canzone «Titanic», insomma uno che di catastrofi se ne intende. De Gregori, ieri, un po' dopo l'ora di pranzo, era ospite di «Ma anche no», ultimo dei talk show dell'anchorman Antonello Piroso su La7. Alla domanda sul nuovo esecutivo De Gregori non ha esitato, se l'aspettava, forse la voleva: «Mi hanno fatto un'ottima impressione. Forse non è un caso che non vengano dalla politica, perché sono persone che non hanno obblighi di look, per cui non devono essere simpatici e accattivanti per forza e poi sono investiti di una grande serietà e dimostrano un grande senso di responsabilità». In questa risposta del cantautore sembra sottinteso che i sacrifici bisogna farli. Ma un'anticchia di dispiacere per i guai passati da chi non arriva alla fine del mese non ci sarebbe stata male. E invece il «Principe» (una volta lo chiamavano così), dopo aver detto che quelli del governo Monti «hanno un problema terribile da risolvere», dà per scontato, come una sorta di immanenza metafisica, che si debbano fare sacrifici. Come le lacrime del ministro del Welfare Elsa Fornero che sono inevitabili: «Credo di capire la sua sofferenza, perché questa manovra è sicuramente dolorosissima, soprattutto per i più deboli». E poi sospira di sollievo per una cosa che gli sembra importante: l'addio al Cav. «Spero sia finita un'epoca - ha detto - abbiamo vissuto anni dati in appalto a un'opinione pubblica che si fronteggiava, a volte con molta violenza, su un argomento unico, che era la legittimazione o la delegittimazione di Berlusconi». Sì, vabbé: ma il problema qual è, o qual era? Che era arrivato a Palazzo Chigi uno che ai «politicamente corretti» della «sinistra progressista e democratica» proprio non andava giù? O magari che c'era un pezzo di Paese che continuava a non voler considerare il verdetto politico delle urne? Quella si chiama democrazia. Vince chi prende più voti. «Ognuno può pensarla come vuole su Berlusconi - ha spiegato ancora il cantautore - ma credo che questa contrapposizione abbia bloccato la discussione politica nel nostro Paese. Ci siamo impantanati per anni e adesso che è finita staremo meglio». Staremo meglio? Speriamo, ma invece di continuare a parlare del Cav sarebbe meglio concentrarsi su una crisi che rischia di travolgere le idee per le quali hanno combattuto Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e tutto il Manifesto di Ventotene. Al momento rischia di sparire, dalla realtà e dalle idee, quel «solido stato internazionale» che si sta costruendo con il nome di Europa. E di fronte a questo la caduta del governo Berlusconi (che comunque ha fatto un passo indietro come forma di responsabilità civile e politica) appare come una ben misera consolazione. Insomma il momento è difficile, Monti è una medicina amara, ma c'è chi un po' si consola, (a sinistra) nell'illusione che quella purga, che è contro la crisi dell'Eurozona, sia servita in realtà contro il Cav. Insomma muoia Sansone e tutti i filistei. Curioso è il fatto che l'esecutivo Berlusconi, al netto dei procedimenti giudiziari nei quali compare come testimone e imputato, è stato sottoposto ad una sorta di «tribunale del popolo», legittimato non si sa bene da chi. Mentre chi sta a sinistra con moderazione (come Rutelli) quando Berlusconi ha vinto ha detto: «Ha vinto lui e noi andiamo all'opposizione», chi sta a sinistra roso dal fuoco della rivoluzione a tutti i costi ha detto che il Cav la politica... non la poteva fare. Insomma il tribunale del popolo aveva emesso la sua sentenza. Strano allora che della caduta del Cav sia sollevato uno che, come De Gregori, con i «tribunali del popolo» ha avuto i suoi momenti tristi. Era più o meno il 1976 quando, al Palalido di Milano, il povero Francesco De Gregori, senza preavviso da artista di una bel concerto, divenne imputato di un processo improvvisato. Durante la sua esibizione un gruppo di facinorosi extraparlamentari di sinistra si impossessò manu militari del palco, lo mise con le spalle al muro e lo accusò di essere «uno di sinistra per finta». Insomma uno che sfruttava le idee dei compagni solo per far soldi. Francesco dopo quell'esperienza dichiarò che alla squadraccia rossa «mancava solo l'olio di ricino». Ecco non vorremmo che oggi qualcuno, al Berlusconi che ha fatto un passo indietro per senso di responsabilità, volesse dare pure l'olio di ricino. In nome della democrazia.