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Attaccano e scioperano ma sono complici della crisi

Da sinistra, il segretario della Cgil Susanna Camusso, il segretario della Cisl Raffaele Bonanni e il segretario della Uil Luigi Angeletti

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Arrivato ieri sera a Piazza Colonna con largo anticipo sull'appuntamento con il presidente del Consiglio, e con i colleghi degli altri sindacati, il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni non ha naturalmente resistito alla tentazione delle telecamere appostate per i telegiornali di prima serata. Ma, essendo un uomo simpaticamente schietto, non è riuscito a rispettare il copione della reticenza imposto dalle circostanze quando si va a un incontro volendone lasciare incerto l'esito, non foss'altro per aumentarne l'interesse. «Vado allo sciopero», si è lasciato scappare rispondendo ad una domanda che accomunava l'incontro quasi imminente con Mario Monti e lo sciopero generale, appunto, convocato per oggi dal suo e dagli altri maggiori sindacati contro le misure adottate dal governo per fronteggiare la crisi economica e finanziaria. «Vado allo sciopero» - hanno potuto giustamente dirsi quanti hanno ascoltato le parole del capo della Cisl - significa che l'incontro non ha alcuna possibilità di scongiurare l'astensione dal lavoro per consapevolezza degli stessi leader sindacali che lo hanno chiesto, con tanto di lettera al presidente del Consiglio sottolineandone anche l'urgenza. Non a caso, del resto, quella lettera non era stata accompagnata, come abbiamo già osservato ieri, con l'unica iniziativa che l'avrebbe resa più convincente, più costruttiva, più aperta ad ogni esito o, se preferite, meno strumentale, fatta apposta per enfatizzare la protesta: la sospensione dello sciopero generale già indetto per tre ore, studiato peraltro anche per impedire ai giornali di uscire domani. Oltre a lasciarsi scappare quel «vado allo sciopero», più che all'incontro, Bonanni ha voluto ammonire il governo dei tecnici guidato da Monti che «il sindacato non si farà commissariare», come gli è evidentemente riuscito di fare con quasi tutti i partiti e i gruppi parlamentari, visto che all'opposizione si è schierata nelle Camere solo la Lega, alla quale cerca di fare ogni tanto concorrenza soltanto l'Idv di Di Pietro. Bonanni non è naturalmente il solo, con la sua diffida dal tentare di commissariare anche il sindacato, a polemizzare con gli altri attori della politica prestatisi, secondo lui, al loro sostanziale esautoramento. Ancora più esplicita e diretta di lui, in questa polemica, è stata ieri, in un'intervista alla Stampa, il segretario generale della Cgil Susanna Camusso. Che se l'è presa, in particolare, con il Pd ricordandogli che finisce per «non avere più nessuna politica» nel momento in cui esso accetta il discorso o la logica di contribuire a «salvare l'Italia» con l'appoggio al governo e alle sue misure. Che Monti ha chiamato proprio «Salva Italia». Non solo ha contestato al Pd la mancanza ormai di una politica, ma la Camusso ha invitato i suoi dirigenti a non offrirle domani il solito spettacolo dei mezzi appoggi o dei mezzi dissensi dai cortei e da altre manifestazioni sindacali all'insegna della domanda di stile morettiano «mi si nota di più se ci vado o non ci vado?». Si può pure comprendere la delusione, diciamo pure la rabbia della Camusso nei riguardi del Pd. Al quale la Cgil si era abituata, con minore o maggiore fatica, secondo le circostanze, a dettare la linea sulle questioni più importanti del lavoro e della previdenza. Sì, a dettare la linea, capovolgendo abitudini e realtà di un tempo, quando era il Pci, l'antenato cioè del Pd di Pier Luigi Bersani, di Massimo D'Alema, di Walter Veltroni e compagni o amici sopraggiunti dalla sinistra democristiana, a dettare la linea alla pur sempre potente e organizzatissima Cgil. Fu il Pci di Enrico Berlinguer e del suo successore Alessandro Natta nel 1984 prima a impedire alla Cgil del compagno Luciano Lama di aderire con la Cisl e con la Uil all'accordo con il governo di Bettino Craxi per i tagli alla scala mobile imposti dalla necessità di ridurre l'inflazione, e poi ad obbligarla a promuovere contro quella misura, una volta approvata dal Parlamento, un referendum abrogativo. Che segnò peraltro una cocente sconfitta del Pci: la più cocente nella sua storia, dopo quella elettorale del 18 aprile 1948. Alla Camusso, a Bonanni, al segretario generale della Uil Luigi Angeletti e a tutti gli altri sindacalisti oggi decisi a non lasciarsi commissariare anche loro dal governo di Monti non viene mai in testa l'idea, purtroppo, di chiedersi con un po' di sana autocritica se del commissariamento della politica non sono responsabili anche loro per essersi così a lungo e rovinosamente opposti, ed opporsi ancora, a misure come quelle contro il lusso ormai insostenibile delle pensioni anticipate di anzianità.

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