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Niente tagli alla Casta. Rivolta degli onorevoli

Parlamentari chini sui banchi della Camera dei deputati

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Il governo Monti ci ha provato. Al comma 7 dell'articolo 23 la manovra stabilisce che dal 1° gennaio 2012 gli stipendi di amministratori, sindaci, consiglieri e parlamentari siano equiparati a quelli europei. Nel caso di deputati e senatori 5.339 euro al mese netti. Invece dei quasi 12 mila che si mettono in tasca ora. Il provvedimento ha suscitato la rivolta degli onorevoli. È stato il presidente di Montecitorio, Gianfranco Fini, a chiarire che si tratta di una scelta «inopportuna»: Camera e Senato, infatti, hanno piena autonomia di bilancio. Dunque soltanto loro possono decidere se tagliare gli stipendi o no. Tra l'altro c'è una Commissione specifica, guidata dal presidente dell'Istat Giovannini, che, prima di qualsiasi modifica, fornirà uno studio esaustivo sugli stipendi dei politici italiani e di quelli europei. Ma la questione è più complessa. Perché lo stipendio dei parlamentari è, propriamente, soltanto l'«indennità», poco meno di 5 mila euro netti al mese. Gli altri 7 mila e più sono frutto di altre voci, come la «diaria», cioè le spese per il soggiorno a Roma (3.690 euro al mese) il «rapporto eletto-elettori», poco più di 3.500 euro netti al mese per organizzare eventi politici. Infine 4.090 euro per la segreteria, che tanti parlamentari trasferiscono soltanto in parte ai propri collaboratori. Dunque ridurre l'indennità e portarla al livello europeo non sarebbe un sacrificio, visto che è già vicina ai valori degli altri parlamentari dei Paesi dell'Ue. Piuttosto si dovrebbero diminuire le altre dotazioni. Ma possono farlo soltanto le assemblee di Montecitorio e Palazzo Madama. Lo chiarisce Fini: «Escludo che nel Parlamento ci possa essere un'azione dilatoria o di contrasto nei confronti di quello che inopportunamente il governo ha inserito nel decreto: la riforma delle indennità e del trattamento economico degli stipendi dei parlamentari, adeguandoli alla media di quelli degli altri Paesi europei». Fini ha ricordato la Commissione che dovrà «individuare una modalità che non si discosti troppo da quella già in atto negli altri Paesi europei». Poi ha aggiunto: «Questa Commissione terminerà il proprio lavoro nel più breve tempo possibile. Mi auguro che lo faccia nelle prossime settimane, dopodiché le due Camere tradurranno in apposite norme interne il risultato dei lavori. Nel decreto del governo la norma era stata scritta male nel senso che non è possibile intervenire per decreto nell'ambito di questioni che sono di competenza esclusiva delle Camere». Secondo il numero uno di Montecitorio «il governo è perfettamente consapevole dell'errore e la norma sarà corretta». Niente da fare, insomma. Gli stipendi dei parlamentari per ora non si toccano. Netto anche il vicecapogruppo del Pdl alla Camera, Massimo Corsaro, che precisa: «Non sarà un rinvio». «Entro trenta giorni» dalla presentazione del lavoro della Commissione, il Parlamento deciderà le riduzioni. Anzi, ha proseguito Corsaro, «noi parlamentari vogliamo dare garanzie che ci sarà l'adeguamento degli stipendi e che sarà fatto in tempi certi». Ma se l'indennità risulterà minore di quella degli altri parlamentari europei? L'aumenteranno? O, piuttosto, taglieranno la diaria e le altre voci? Non si sa. C'è chi s'indigna: «Nella drammatica crisi che vivono le famiglie italiane è francamente indecente la "rivolta" di alcuni parlamentari contro il taglio dell'indennità», tuona il leader dei Verdi Angelo Bonelli. Sì ai tagli anche dall'ex ministro Gelmini (Pdl) e dall'esponente Pd Matteo Renzi, che si sfoga su twitter: «È stato superato il senso del pudore». Ma c'è chi fa opposizione, anonima: «Sa quanto ho speso per arrivare in Parlamento?».

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