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Giorgio vaglia il testo. Adesso teme i partiti

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

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Gioire per una battaglia vinta, ancora non si può. Intanto perché con i mercati non si scherza, che se un giorno ti sorridono, il giorno dopo possono anche voltarti le spalle vittime dell'ingordigia degli speculatori. Poi perché adesso la palla passa ai partiti. E non è detto che tutti siano disposti a «turarsi il naso» e votare un provvedimento anticrisi che, nella speranza di accontentare tutti, di fatto non accontenta nessuno. E infine perché, l'origine napoletana insegna, un minimo di scaramanzia non guasta mai. Ma «Re Giorgio», dopo tanto tempo e tanto impegno, può almeno tirare un sospiro di sollievo. L'operato del governo Monti comincia a dare i suoi frutti: lo spread è sotto quota 400 punti (non succedeva da fine ottobre) e le borse prendono fiducia. Il Capo dello Stato non concede giudizi: «Credo di poter dire che, ascoltando in conferenza stampa interventi dei rappresentanti del governo, ho colto un impegno, una fatica e una tensione morale per cui esprimo rispetto», spiega rivolgendo lo sguardo a Elsa Fornero, il ministro del Welfare che domenica in diretta tv non è riuscita a nascondere le lacrime pronunciando la parola «sacrifici», che lo accompagna alla cerimonia per la giornata del volontariato. Ma non si sbilancia oltre: «Non ho mai commentato nel merito le scelte e le decisioni del governo in carica, qualunque fosse, e non lo farò neanche questa volta perché le valutazioni di merito sui provvedimenti spettano alle forze politiche in Parlamento», taglia corto. Il grosso è fatto, ma al Quirinale la consapevolezza che adesso si apre il passaggio più complicato resta. Napolitano ha in mano il decreto per le verifiche di rito. La firma arriverà solo oggi. Il Capo dello Stato ha, infatti, avuto bisogno di un po' di tempo in più per correggere questioni redazionali, relative a riferimenti normativi e non al merito delle questioni proposte. Dopo, il pacchetto, dovrà essere licenziato dal Parlamento: è questa la parte più ardua da gestire. Perché non sfuggono al Colle i distinguo dei partiti, emersi nel dibattito di ieri, con i continui riferimenti al voto di fiducia, tra chi - come Silvio Berlusconi - la chiede come condizione per votare il pacchetto, e chi - come il Pd - non la disdegnerebbe, ma per ora punta a emendare il testo. Il ricorso alla fiducia - il fatto è noto - non ha mai entusiasmato il capo dello Stato. Dopo i continui appelli degli ultimi mesi alla coesione, il Capo dello Stato preferirebbe che in Parlamento si materializzasse un concorso corale di forze in grado di sostenere «l'impegno» del governo. «Re Giorgio» non si illude. Sa che la strada è densa di variabili: dalla Lega che provoca il Pdl sulla via dell'opposizione, al Pd che non può non guardare alla Cgil che ha dichiarato quattro ore di sciopero per lunedì prossimo. Il quadro, insomma, è tutt'altro che semplice. L'unico che chiama le forze politiche a una coresponsabilità sulla manovra economica è Pier Ferdinando Casini, che non a caso ha proposto un coordinamento dei gruppi parlamentari per concordare eventuali modifiche prima del voto finale. Si lavora agli incastri. Il destino dell'Italia e dell'Europa intera si regge su un filo sottilissimo, che ha il compito di unire Berlusconi a Bersani, passando per il Terzo polo. «King George» incrocia le dita.

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