Il rebus della Chiesa
Scriveva John Emerich Dalberg-Acton, settimo baronetto di Acton: «La Chiesa che Nostro Signore venne a stabilire aveva una doppia missione da compiere. Da una parte doveva essere definito e perpetuamente difeso il suo sistema dottrinario; dall’altra era altresì necessario che esso provasse di essere più che una semplice affermazione teorica, che passasse nella pratica, e guidasse la volontà e l’intelletto umano». Vita pratica. C’è una domanda ancora inevasa dal giorno del varo del governo Monti. Qual è la posizione del Vaticano sulla transizione che s'è avviata? La partenza dell'esecutivo è stata segnata dalla bizzarra polemica dei "poteri forti" che avrebbero guidato lo "stato d'eccezione" in cui è piombata la nostra Repubblica e, insieme al Quirinale, generato il governo Monti. La Chiesa dunque avrebbe messo il suo sigillo sull’operazione tecnocratica con ministri di provata fede cattolica come Andrea Riccardi e Lorenzo Ornaghi. Si tratta di una lettura del tutto sbagliata e fuorviante. Il gioco delle pedine e degli incastri nelle cose d'Oltretevere ha un suo fascino, ma più che chiarire confonde. Più interessante invece è leggere le prime dichiarazioni di esponenti e istituzioni della Chiesa sulla manovra straordinaria di Monti. Qual è la posizione della Santa Sede? È quella di Monsignor Giancarlo Bregantini, presidente della Cei per i problemi sociali, che solleva perplessità e dice «che forse si poteva fare di più sui redditi alti con l’Irpef», che giudica la rinuncia di Monti al suo stipendio da premier con un lapidario «uno statista si misura da ciò che fa per il bene di tutti» e spiega che «il governo tecnico orienta ma è la politica che attua»? Oppure la linea è quella dell’Osservatore Romano che saggiamente spiega che senza queste misure significherebbe «farne di ben più gravi tra poche settimane e pochi giorni, mettendo a rischio la ricchezza accumulata»? O forse è quella espressa con ancor più forza dal cardinale Tarcisio Bertone che afferma «i sacrifici fanno parte della vita»? La frase del segretario di Stato vaticano non pone la parola fine. I dubbi sulla linea, sulla voce non sola, restano e una Chiesa che ha davanti a sé la sfida del fisco equo (leggi Ici) e soprattutto dell’elettorato cattolico e dello scenario politico del 2013, non può permetterselo.