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Il Prof di ferro che usa il rasoio

Il premier Mario Monti

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Di metallico, Mario Monti ha dimostrato di non avere solo la voce. Che il comico Maurizio Crozza ha già cominciato ad imitare con la consueta bravura, come per le immagini e i suoni, per esempio, di Pier Luigi Bersani, di Umberto Bossi e di Renato Brunetta. Di metallico, il neo-senatore a vita e presidente del Consiglio ha mostrato di avere anche il tempo di marcia: costante e sicuro, anche se un po' lento, stando alle proteste o critiche mossegli frettolosamente nei giorni scorsi pure da amici ed estimatori, e non solo critici e avversari, smaniosi di conoscere le misure per fronteggiare l'emergenza economica e finanziaria. E di verificarne il carattere "impressionante" avvertito da una che s'intende di queste cose, la cancelliera tedesca Angela Merkel, dopo averne sentito qualche anticipazione in un incontro a tre, con la partecipazione anche del presidente francese Nicolas Sarkozy. Che dovrà probabilmente imitare in Patria il suo quasi omologo italiano dopo avere fatto tanto lo spiritoso, per non dire di peggio, con il predecessore Silvio Berlusconi. A distanza, tutto sommato, di soli 21 giorni dall'incarico di presidente del Consiglio conferitogli il 13 novembre dal capo dello Stato, di 17 giorni dalla formazione del governo, di 16 dalla fiducia accordatagli dal Senato, di 15 dalla fiducia della Camera e di 6 dal completamento della squadra di governo con la nomina dei vice ministri e sottosegretari, se non ho sbagliato i conti che ho fatto consultando velocemente la mia agenda, e al lordo del non poco tempo trascorso all'estero per un bel po' di impegni europei, Monti ha quindi varato le sue misure. Che sono state fedeli, quanto al carattere impressionante, alle anticipazioni a e della Merkel, senza riguardi neppure per il calendario, visto che il Consiglio dei Ministri si è riunito di domenica. E le consultazioni, che sarebbe meglio definire informazioni, che l'hanno preceduto hanno vanificato o complicato il week end di politici e sindacalisti di varia natura e colore, usciti da Palazzo Chigi più frastornati che sorpresi. Mi hanno personalmente colpito, più ancora del pallore di Bersani, le facce tirate mostrate sabato dai tre -Pier Ferdinando Casini, Benedetto Della Vedova e Francesco Rutelli- che in rappresentanza del terzo polo si dovevano e si debbono considerare i più convinti e incondizionati sostenitori di Monti e del suo governo, sempre pronti a fare le pulci a quanti nel Pd e nel Pdl mostrano sofferenza e disagio nel ritrovarsi dalla stessa parte. E a liquidare con smorfie di fastidio l'andirivieni di Antonio Di Pietro tra la fiducia accordata a Monti nelle aule parlamentari e le dichiarazioni di ostilità alle sue successive scelte e iniziative. Il povero Casini era talmente imbarazzato da pasticciare con gli aggettivi parlando delle "medicine" prescritte dal nuovo governo agli italiani per mettere a posto i conti del Paese: medicine che, secondo il leader dell'Udc, per loro natura non debbono essere mai "buone". Nossignore, buone debbono esserlo sempre per risultare efficaci. Ci mancherebbe altro. Semmai, possono non risultare dolci, gradevoli, ma amare, e persino disgustose. E urticanti anche per chi le prescrive e le somministra, viste le lacrime versate dal ministro Elsa Fornero riferendo ai giornalisti sulle misure pensionistiche, soccorsa personalmente da Monti. Che l'ha simpaticamente richiamata al dovere di aiutarlo, correggendone anche gli eventuali errori, come fece Papa Wojtyla con i romani in Piazza San Pietro la sera dell'elezione scusandosi per il suo italiano, che pure era molto apprezzabile. Al di là delle metafore sanitarie o d'altro tipo, di certo con le sue misure Monti ha fatto ieri largo uso del rasoio elettrico. Che è uno dei due "apparecchi" ai quali egli paragonò il proprio governo nell'aula di Montecitorio il 18 novembre, in un breve e tagliente discorso di replica, di stile molto andreottiano, ai deputati intervenuti nella discussione, infastidito per il proposito attribuito fuori dall'aula a Berlusconi, e da questi poi smentito, di essere già pronto a "staccargli la spina", cioè a farlo cadere. L'altro apparecchio elettrico al quale Monti quella mattina volle paragonare il suo governo è "il polmone artificiale". Del quale egli invitò i partiti, con particolare riguardo naturalmente a quelli che gli avevano già accordato la fiducia al Senato e si accingevano a farlo anche alla Camera, a fare buon uso per rinfrancarsi e rigenerarsi, dopo tanti mesi o anni di scontri defaticanti e paralizzanti. A questo polmone, in effetti, i partiti della nuova maggioranza, per quanto essi fingano curiosamente di farne parte per caso, o a loro insaputa, tanto che i rispettivi leader evitano incontri collegiali, preferendo vedersi evidentemente in modo clandestino, attraversando cunicoli o indossando maschere, farebbero bene a rimanere attaccati il più a lungo possibile. E a tenersi alla larga dalle tentazioni che ogni tanto serpeggiano di ricorso alle elezioni anticipate. Alle quali, d'altronde, non saprebbero ora neppure come arrivare, con quali alleati, e per fare che cosa. Non lo sanno nel Pd, non lo sanno nel terzo polo e non lo sanno neppure nel Pdl. Dove i nostalgici, in alto e in basso, dell'alleanza con la Lega farebbero bene a meditare sulla secessione "consensuale" e sulle altre facezie levatesi ieri dal fantomatico "Parlamento della Padania", che considera quello di Monti il governo di un Paese, l'Italia, già sconfitto nella guerra dell'euro. Monti, padano in fondo anche lui, avrà fatto gli scongiuri. E solidarizzato col povero professore Gianfranco Miglio, disinvoltamente celebrato ieri dalla Lega nel decimo anniversario abbondante della morte, dopo che Umberto Bossi lo aveva definito, il 15 settembre 2010, "una scoreggia nello spazio".

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