Monti ha la medicina. Nessuno la vuole
Le luci di palazzo Chigi rimangono accese fino a tardi. Il weekend è di quelli difficili. Per Mario Monti è il momento di «calare le carte». Il presidente del Consiglio incontra i rappresentanti dei partiti per spiegare loro i provvedimenti che il governo ha messo a punto per sanare i conti. La manovra che intende portare nelle casse dello Stato circa 25 miliardi di euro, è pronta. Al punto che il Consiglio dei ministri previsto per domani potrebbe essere anticipato a oggi pomeriggio. L'idea è quella di procedere al varo delle misure anticrisi subito dopo gli incontri con le parti sociali, intorno alle 15. L'obiettivo è duplice: arrivare alla riapertura dei mercati con il pacchetto già in tasca, ma anche limitare al massimo le tensioni con partiti e sindacati. Non tutti i "nodi", infatti, sono stati sciolti e i tecnici, in realtà, sono ancora al lavoro per elaborare il testo definitivo e dare un'ultima limata che consenta al provvedimento di accontentare tutti e non essere «impallinato» in Parlamento. I partiti, dal canto loro, aspettano. Solo un paio di settimane fa hanno accordato la loro fiducia al governo Monti, e nessuno dei leader ricevuti dal professore ha il coraggio adesso di mettere sulla sua strada dei «paletti» definitivi. Certo le forze politiche rimangono in pressing, ma il premier difende le sue scelte, e le spiega. In gioco non c'è solo l'Italia, ma la tenuta della stessa Europa: ecco perché non c'è altrenativa a una manovra «pesante», che imporrà sacrifici a tutti. Ai rappresentanti di Pdl, Pd e Terzo Polo, però, Monti assicura che questi saranno «equamente ripartiti». Quanto ai contenuti, a preoccupare maggiormente i partiti sarebbero le norme relative all'Ici, ai ritocchi delle aliquote Irpef e all'eventuale tassa sui beni di lusso. «C'è il rischio che con questi interventi si contraggano ulteriormente i consumi senza un vero rilancio per la crescita», è il ragionamento. Sull'Irpef, in particolare, l'obiettivo delle trattative sarebbe quello di evitare che almeno la fascia di reddito che va dai 55 ai 75 mila euro venga colpita da un aumento dell'aliquota. «55 mila euro mi pare una soglia troppo bassa, non possono pagare sempre gli stessi», spiega il segretario Angelino Alfano. Il presidente del Consiglio, affiancato dai ministri Passera, Fornero e Giarda (vero tessitore della manovra), non sbarra la strada a possibili modifiche. Il pressing dei partiti potrebbe anche essere accolto, anche se ancora non si sa in che forma. «L'aumento dell'aliquota Irpef del 41% non ci sarà», dice Gasparri in serata. «La nostra raccomandazione è di stare attenti a che non paghino sempre gli stessi», insiste Alfano. Il presidente del Consiglio «è stato chiamato proprio per assumere decisioni non facili e di questo noi ci rendiamo conto. La nostra principale raccomandazione è procedere con equità» in modo che il «carico sia parametrato rispetto alla capacità dei contribuenti», dando in particolare alla famiglia «un ruolo centrale». Dello stesso avviso il Terzo Polo: «Le famiglie, che sono le grandi dimenticate di questo Paese, bisogna dare loro attenzione», avverte Pier Ferdinando Casini, che chiede, in particolare, che non vengano cancellate le detrazioni a loro vantaggio previste dalla delega fiscale varata da Tremonti e dal governo Berlusconi. Per il resto - assicura - «vigile solidarietà» al governo, anche se la manovrà sarà pesante. «Deve fare cose che per lungo tempo non sono state fatte», ammette il leader centrista. In serata è il turno del Pd, il partito di Pier Luigi Bersani ha forti dubbi sulla «lotta all'evasione fiscale e sulle le pensioni. Nessuno più di noi conosce la gravità della situazione - ha spiegato Bersani al termine di due ore e mezzo di colloquio con il premier - l'Italia si trova nel punto più esposto della crisi. Conosciamo l'esigenza di intervenire anche in maniera dolorosa, ma abbiamo portato le nostre proposte». Il Pd vuole, ha spiegato, maggiore tutela di pensionati, pensionandi e dei redditi più bassi.