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Partiti. Lo spettacolo più triste

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Anche a chi è abituato da una vita a seguire le vicende della politica italiana procura un crescente fastidio lo spettacolo che continuano a dare i partiti. I quali debbono avere una ben scarsa considerazione dei loro militanti e, più in generale, degli elettori se pensano di poterne mantenere o conquistare il consenso mescolando furbizie, ipocrisie e persino bugie. Se non cambiano rotta, essi riusciranno a perdere anche l'occasione rigenerante offerta loro dalla tregua costituita dal governo "tecnico" di Mario Monti. Al quale si è arrivati - non dimentichiamolo - non per un capriccio del capo dello Stato o per una improvvisa e smodata ambizione del nuovo presidente del Consiglio, ma per una sostanziale resa delle forze politiche di fronte alla gravità della crisi economica e alla turbolenza dei mercati. Di tutte le forze politiche, anche di chi, come la Lega, ha rifiutato pregiudizialmente la fiducia parlamentare alla nuova compagine ministeriale dopo avere impedito alla precedente, dov'era ben presente, di prendere tutte le misure necessarie a fronteggiare al meglio la situazione. Ed ha pensato, e pensa, di potere trarre grandissimi vantaggi elettorali dal ruolo di opposizione, specie se rimarrà sola a praticarlo e non verrà raggiunta in modo saltuario o stabile da altri che ogni tanto mostrano di non vedere l'ora di farlo, avendo aderito evidentemente con poca convinzione al fronte della fiducia parlamentare al nuovo governo. L'anomalia della maggioranza raccoltasi nelle aule del Senato e della Camera attorno a Monti è stata appena confermata dal modo a dir poco sbilenco con il quale i partiti che la compongono hanno prima ritardato e poi cercato di piegare ai loro umori o ragioni di bottega il completamento del governo con la nomina dei vice ministri e dei sottosegretari. E ciò senza peraltro potersene o volersene assumere interamente la responsabilità, fingendo di essersi alla fine rimessi alle decisioni del presidente del Consiglio, senza neppure riuscire a nascondere bene la loro delusione quando hanno pensato di averne subìta una. E' il caso, per esempio, delle sonore proteste levatesi dal capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri, nel silenzio imbarazzato del segretario del partito Angelino Alfano, per la nomina dell'ex parlamentare democristiano Giampaolo D'Andrea a sottosegretario ai rapporti con il Parlamento, in tandem con l'ex segretario generale del Senato Antonio Malaschini, riuscito invece gradito allo stesso Gasparri. La colpa del povero D'Andrea, che ha dovuto quasi scusarsene, e che dovrà forse rassegnarsi a limitare il suo lavoro di raccordo parlamentare alla Camera, dove il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto ha avuto il buon senso di non associarsi alle proteste dell'omologo di Palazzo Madama, è di avere partecipato all'ultimo governo di Prodi. Diavolo di un uomo, che cosa avrà mai avuto modo di fare di tanto sconveniente questo professore universitario, mite come pochi altri mi sia personalmente capitato di conoscere e frequentare, occupandosi di rapporti con le Camere e di riforme, sempre come sottosegretario, in un governo del quale non sono stato di certo un estimatore, con quella sua ostinata volontà di reggersi per quasi due anni sulle stampelle dei senatori a vita, ma che non mi sembra per questo condannabile alla damnatio memoriae? Via, non siamo a Nerone. Con questo ed altri precedenti, come il comico tentativo dei leader dei partiti della fiducia di smentire la notizia dell'altrettanto comico incontro collegiale ma segreto con il presidente del Consiglio, dopo avere attraversato cunicoli sotterranei nel centro di Roma, impallidisco alla sola idea dei contorcimenti che ci toccherà raccontare e commentare quando lor signori i politici si troveranno veramente di fronte alle misure economiche del governo reclamate con tanta impazienza.  

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