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"Non si poteva votare. Perdevamo"

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

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La politica molto spesso non è ciò che appare sul palco. Piuttosto è ciò che accade dietro le quinte. E magari a fianco, di lato. Anche fuori. Chi ha assistito a piazza di Pietra alla ressa e alla rissa che ne è scaturita all'ingresso della presentazione del libro di Angelino Alfano («La mafia uccide d'estate», Mondadori) con Silvio Berlusconi e Roberto Maroni, si sarà finalmente risposto alla domanda su come mai sia caduto il governo. Un partito che non riesce manco a organizzare in maniera degna una manifestazione per illustare un libello è già sorprendente che abbia guidato il Paese negli ultimi tre anni. Antonello Iannarilli viene quasi alle mani con un poliziotto che all'ingresso gli sbarra la strada. Pure Melania Rizzoli, dotata di solito cappellino, non ci sta. Rocco Crimmi schiacciato nella ressa cerca con il cellulare alla lettera G, Gasp, Gasparri. Chiama il capogruppo. Poi s'accorge che ha sbagliato numero. Riprova: Gasparotti, l'uomo che si occupa dell'immagine del Cavaliere: «Scusa, non riesco a entrare, mi vieni a prendere». Gasparotti gli dà la dritta, una porta laterale. Anche Gaetano Quagliariello s'infila e viene inseguito da un gruppo di infermiere del Santa Lucia. Ampia migrazione verso l'entrata clandestina o per soli vip. Paolo Romani se ne sta in disparte assieme a Mario Landolfi. Arriva un nugolo di poliziotti che si fanno largo nella ressa con modi truci, in mezzo nascondono un uomo: è Brunetta. Signore ingioiellate, truccate, restaurate, aspiranti attrici, deputatine in carriera. E in tutto ciò, il partito che ha annunciato che si tufferà su internet non trasmette la diretta. Il sito personale di Alfano è fermo all'annuncio della manifestazione. Tutto ciò per dire anche che in realtà le parole di Berlusconi non riservano grandi sorprese. Al più sorprendono i toni. Rispetto a quelli sopra le righe usati in tribunale a Milano lunedì, il Cavaliere si mostra politicamente corretto, non si fa scappare minacce al governo Monti come velatamente aveva fatto anche a Verona domenica. Torna nella versione istituzionale. Anzi, nega pure che esista un "arrangiamento" di lotta: «Noi siamo ancora un partito di governo, siamo il partito dei moderati e dei democratici, degli italiani onesti». Complice la prima fila (monsignor Fisichella, Gianni Letta) e ancora di più l'incontro al Quirinale con Napolitano e Monti, Berlusconi parla pure piano. Si lascia andare solo a una battuta un po' acida: «Il governo tecnico di per sé è la negazione della democrazia». Però afferma che sostenere l'esecutivo Monti «è stata una decisione saggia e, alla luce della ragione, necessaria». Spiega: «Abbiamo subito una aggressione a tenaglia. Se avessimo detto di andare alle elezioni - ha osservato il Cavaliere - ci sarebbe stato un bombardamento drammatico e insostenibile nei nostri confronti, con l'accusa di essere contro gli interessi del Paese. Avremmo finito per perdere le elezioni». Tuttavia ribadisce: «Con il presidente Monti siamo stati chiari su due punti: non voteremo la patrimoniale né una legge elettorale perché un governo tecnico non può intervenire su questo». Aggiunge di aspettarsi da Monti l'approvazione «delle misure contenute nella lettera che noi abbiamo inviato all'Europa, quelle che abbiamo varato noi nell'emendamento alla legge stabilità». Torna a corteggiare la Lega: «Sarebbe insensato» rinunciare all'alleanza con il Pdl visto che «i due partiti insieme sono ancora in grado di raccogliere una maggioranza di voti che ci metterebbe in grado di governare ancora». Maroni sorride ma si sgancia: «Quell'alleanza ormai non esiste più». Ultimo capitolo, Casini. Se l'Udc andasse a sinistra, è il ragionamento «perderebbe i due terzi del proprio elettorato» quindi, siccome l'Udc «non può confluire» in quello schieramento, «aspettiamo un ravvedimento operoso» da parte di Casini. Berlusconi ricorda come il partito di Pier e Cesa abbia perso voti alle ultime regionali alleandosi in diverse realtà territoriali con la sinistra. Infine, un annuncio: tornerà presto presidente del Milan.Almeno su questo Maroni era d'accordo.

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