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La fine di Lucio Magri tra amore e utopia

Lucio Magri in una foto del 1980

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Forse i più giovani non ne ricordano neppure il nome, ma Lucio Magri è stato un protagonista dell'Italia del dopoguerra. Ha rappresentato quell'area di intellettuali affascinati da un mondo a loro lontano, quello degli operai e dei contadini, a cui non appartenevano per stile di vita, per raffinatezza culturale, per frequentazioni, per censo. Volevano essere dalla loro parte non potendo essere come loro. Sognavano di guidare le masse verso una società migliore idealizzata in un comunismo ipotetico, lontano da quello reale con il quale spesso si scontravano. Non lo ammettevano, ma c'era più Gramsci e Proudhon nella loro filosofia che Marx e soprattutto Lenin. Lucio Magri a 79 anni ha deciso di lasciare la bella casa nel cuore di Roma, i libri, gli affetti, le sue utopie, per andare a cercare la morte in Svizzera, in una di quelle cliniche che garantiscono la morte dolce a chi soffre. Poco importa se per tumori incurabili o per malattie mentali come la depressione. Per il legislatore svizzero non c'è differenza. Magri è morto in uno di questi centri. Da brividi, dove si danno medicinali non per guarire ma per morire. Fa venire anche i brividi sapere che gli amici di Magri, quelli che con lui hanno condiviso le scelte politiche, legati anche da profonda amicizia abbiano atteso nella sua casa romana una telefonata dalla Svizzera, quella che annunciava la morte, o meglio il suicidio di Lucio Magri. La sua malattia era la depressione. Soffriva per questo, incapace di risollevarsi dopo la morte della moglie. Come un uomo comune con un destino legato alla donna della sua vita. Eppure Magri in gioventù e non solo, era bello, affascinante, lo sapeva bene Guttuso che lo dipingeva nei modi più sprezzanti perchè convinto che ricevesse i piaceri della sua amata. Aveva successo, aveva carisma, aveva tantissimi amici eppure la morte della moglie lo ha fatto sprofondare. Ma forse c'è anche qualcosa di altro. Aveva una fiducia immensa, fideistica, nel comunismo. Un paradiso virtuale che si è dissolto, e dalle macerie sono spuntate crudeltà, ruberie e miserie. Eppure Magri era cresciuto in un mondo cattolico, prima democristiano, poi comunista, poi eretico comunista. Entrato e uscito più volte dalla grande casa del Pci, insofferente alle ragioni del partito. Protagonista dell'eresia del Manifesto, poi sconfitto testimone di un sogno ormai tramontato quando sciolto il Pci, caduto il muro, dissolta l'Urss ha visto crollare pian piano lo scopo di una vita. Lo ricordo mentre in un mesto congresso di reduci comunisti gridava gli slogan di un tempo. Quasi una preghiera disperata. Non più una certezza. Resta la fine di un uomo, così lontana da quel mondo popolare operaio e contadino a cui voleva accumunarsi, che invece è attaccato alla vita perché ha come priorità la sopravvivenza. Rimane lo stupore per una scelta di chi, ancora in forze, prepara meticolosamente la propria fine al punto di predisporre il funerale. Ma c'è anche la determinazione nel dire no: non può essere un esempio. In questo dalla Svizzera abbiamo poco da imparare. Possiamo comprendere le ragioni di chi, agonizzante, chiede sia messa fine alla propria esistenza. Ma quelle cliniche dove si pagano 5 mila euro per morire non sono un simbolo di civiltà.

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