L'asta Btp fa il pieno
Gli investitori internazionali si fidano ancora dell'Italia. Certo, chiedono un rendimento superiore per sottoscrivere nuove quote di debito pubblico, ma alla fine i Btp targati via XX settembre continuano a essere acquistati. Questo nonostante la Commissione Europea, a digiuno evidentemente degli elementari principi di comunicazione finanziaria ieri, abbia lanciato in un suo rapporto, un allarme per gli investitori freschi di acquisto presso il Tesoro italiano. «Tassi d'interesse elevati, in modo persistente, aumentano il rischio di una fuga dai bond italiani» ha, infatti, affermato il rapporto della Commissione Ue sull'Italia nel quale si è anche detto anche che «in assenza di una risposta determinata può aumentare rapidamente il rischio di un avvitamento della crisi di liquidità». In ogni caso, a prescindere dal tatto delle istituzioni di Bruxelles almeno ieri l'Italia ha scampato il pericolo più grosso. Ovvero un calo di fiducia talmente esagerato da allontanare gli investitori dalle aste, insomma l'ipotesi peggiore per chi cerca denaro e cioè l'invenduto. Una situazione che, per altre ragioni, ha colpito la scorsa settimana l'asta dei Bund tedeschi, non sottoscritti per il basso rendimento assicurato ai compratori ma anche come conseguenza della sfiducia verso la capacità del paese leader dell'Europa di portare fuori dal guado della crisi dell'euro anche i paesi periferici. Nonostante la domanda di Buoni poliennali del Tesoro sia stata superiore alla quantità offerta il futuro resta comunque pieno di incognite. Può leggersi così il risultato dell'asta di ieri, seguita dai mercati di tutto il mondo visti i timori per il debito italiano e conclusasi con una domanda in buona tenuta, ma con tassi a livelli mai visti in circa 15 anni. Le borse europee e Usa, l'euro, il debito europeo e non solo hanno tirato un sospiro di sollievo dopo i risultati del pesante collocamento: il Tesoro ha venduto complessivamente 7,5 miliardi di titoli contro un obiettivo massimo di otto miliardi, quindi sulla parte alta della cosiddetta «forchetta», riuscendo a piazzare fra gli investitori il massimo target che si era prefissato per il nuovo Btp a tre anni novembre 2014 (3,5 miliardi a fronte di una domanda di oltre 5,2 miliardi) e per la riapertura del decennale marzo 2022 (2,5 miliardi venduti con una domanda di oltre 3,33). Il Btp fuori corso d'emissione settembre 2020 non ha raggiunto i 2 miliardi massimi fermandosi a 1,5, ma con una domanda che comunque, visti i tassi, è arrivata a 2,3 miliardi. Tutto questo, però, al costo di un balzo dei rendimenti da pagare agli investitori su livelli mai visti negli oltre dodici anni dell'euro. Il titolo con scadenza tre anni cedola 6% ha pagato un 7,89%, massimo di 15 anni: a ottobre eravamo ancora al 4,93%. Un tasso così ha attratto molti investitori, anche retail, e secondo quanto si è appreso non è neanche dovuta intervenire la Bce per comprare «carta» italiana. Il titolo scadenza 2020 è schizzato al 7,56% contro il 6,06% del mese scorso. L'asta italiana di oggi (ieri ndr) - ha commentato Bankitalia - ha visto una «buona» domanda da parte degli investitori, che «ha consentito di collocare il massimo dell'importo offerto sui primi due titoli». A differenza della Bundesbank tedesca che ha offerto il suo ombrello sui Bund la scorsa settimana, l'istituto centrale italiano non è intervenuto: non può farlo per Statuto. Vista da Via Nazionale, comunque, l'asta è stata «molto soddisfacente» con un rapporto «elevato» fra domanda e offerta. Il rendimento sul nuovo tre anni, che mette in conto tassi alle stelle per tre anni con una cedola del 6%, per Bankitalia è certo anch'esso «elevato»: il confronto va fatto però con i tassi di mercato, con cui è abbastanza allineato, e non con quelli del vecchio triennale luglio 2014 dotato di liquidità molto maggiore. Sul mercato secondario, piuttosto altalenante, lo spread italiano è sceso sotto i 500 punti base dopo l'asta, per poi tornare sopra e di nuovo scendere sotto 490 centesimi sulle voci di un salvataggio Bce-Fmi. In calo i rendimenti sulle brevi scadenze come sul 10 anni. Certo la paura è passata ma i tassi spuntati dai compratori non sono sostenibili nel lungo termine. Con un calcolo a spanne, un aumento teorico generalizzato di due punti percentuali dei rendimenti in asta, come quello visto ieri sui 3 anni, comporterebbe un aggravio per le casse del Tesoro pari a 0,4 punti. percentuali del Pil solo nel primo anno: 6,4 miliardi di euro da mettere in conto per le prossime manovre di finanza pubblica.