Berlusconi torna: "Non mi candido"

Di lotta e di governo. Silvio Berlusconi sostiene il governo Monti. Di più: ci mette il cappello sopra. Quasi come se l'avesse scelto lui. Afferma che il programma che dovrà attuare il professore è il suo. E già, proprio il programma. Se Monti dovesse andare fuori dal seminato, lui, il Cavaliere, si prepara a fargli opposizione. Non tanto dentro i palazzi, quanto fuori. Nelle manifestazioni, nelle piazze. Silvio Berlusconi riappare così in pubblico. Stavolta si presenta al Tribunale di Milano per partecipare all'udienza del processo sul caso Mills: è imputato di corruzione in atti giudiziari. All'uscita è caustico: «Ho fatto fatica a non addormentarmi». Spiega che il procedimento «è farraginoso» e «non avrà nessun esito giuridico, perché a febbraio c'è la prescrizione». Proprio per questo a giudizio dell'ex premier si dimostra da parte dei magistrati di Milano «una pervicacia incomprensibile» perché «c'è la volontà di continuare per arrivare al nulla per arrivare al nulla». I giornalisti gli chiedono se si ricandiderà e lui secco: «No, ho detto di no». E sul nuovo presidente del Consiglio: «Monti non è in ritardo, è appena arrivato e si deve occupare di cose di enorme complessità ma lasciatelo lavorare». «Quelle che Mario Monti ha portato in Europa sono misure già varate dal mio governo e per il 55% già approvate dal Parlamento con la legge di stabilità», aggiunge. Però avverte: «Non vale la pena continuare a parlare di restrizioni, di nuove imposte, di modifiche negative per le famiglie e le imprese. Tutto questo introduce un fattore psicologico che è il primo fattore di crisi per cui riduci i consumi e rendi difficili gli investimenti». Mette in chiaro: «Nessuna difficoltà per quanto riguarda le misure che sono state concordate con l'Europa. Per le altre decideremo misura per misura». «Non si può pensare - insiste - di far aumentare un'economia introducendo misure restrittive. In effetti ci sono molti economisti, soprattutto americani, che dicono che la via scelta dall'Europa nei confronti della Grecia è una via assolutamente sbagliata». Si parla di Lega dopo le frizioni di questi giorni. Berlusconi rassicura sulla tenuta del rapporto Pdl-Carroccio: «Ho appuntamento con Bossi questa settimana». «La Lega - dice - segue i suoi interessi elettorali. Cercherò di convincerli a fare scelte nell'interesse del Paese». E a chi gli fa notare che domenica l'ex ministro Calderoli aveva detto che l'alleanza con la Lega è finita, l'ex presidente del consiglio risponde con due parole: «Non credo». E aggiunge: «Bossi mi ha chiamato tutti i giorni, mi aveva invitato oggi o domani a colazione ma ho dovuto rimandare a venerdì», sottolinea. Altra domanda. Il Pdl rischia l'implosione? «Nemmeno per sogno, siamo solidissimi, il Pdl è fortissimo e organizzato», replica il leader. Si torna poi a parlare di economia. Ieri era il Btp day, il giorno in cui si potevano comprare titoli di Stato senza commissioni. Viene chiesto al Cavaliere se ne ha comprati, e lui risponde sconsolato: «Non ho comprato nulla, sono stato tutto il giorno qua». Smentisce che dopo le dimissioni da presidente del Consiglio tornerà a occuparsi delle sue aziende: «Non l'ho mai detto», spiega. L'occasione lo ripiomba in una delle emergenze del suo mandato: la riforma della Giustizia. «È stata proposta dal mio governo e la porteremo avanti e cercheremo di approvarla». L'ex capo del governo fa sapere anche che non sarà in aula in tribunale venerdì per il processo Ruby, la ragazza marocchina che credette essere la nipote di Mubarak. È l'occasione di parlare dell'ex presidente egiziano. Berlusconi rivela di di averlo «sentito dopo che sono successi i primi fatti» al Cairo. Afferma di aver provato «struggimento» anche per «il comportamento dell'occidente che aveva visto in lui un pilastro della politica mediorientale e che poi lo ha ignominiosamente abbandonato». Infine, un dei temi a lui più caro: la credibilità internazionale. S'è molto discusso del suo scarso peso. L'ex capo del governo smentisce affermando che sia Angela Merkel che Nicolas Sarkozy, quando ha lasciato Palazzo Chigi, lo hanno chiamato: «È stata diffusa una pessima immagine di chi rappresentava nel mondo l'Italia. Ero uno dei politici più conosciuti al mondo con Barack Obama».