Fermare la rapina all’Italia
È tempo di dire basta alla genuflessione dinanzi al dio mercato che può togliere al Paese, sonno, risparmi, ricchezze finanziarie e industriali. E lo possono dire quanti, e noi tra loro, hanno difeso sempre e comunque l’economia di mercato in tutta la seconda metà del ’900 lasciando spesso sul selciato vite di amici e di autorevoli dirigenti di partito. E nessuno ci dica che siamo statalisti, che manchiamo di cultura liberale o fregnacce di questo genere perché solleciterebbero soltanto la nostra ira e il nostro sdegno a cui daremmo voce con forza. Ci riferiamo all’ultima decisione della commissione europea di definire l’Italia alla corte di giustizia per i poteri di veto (la golden share) che ha il nostro Tesoro nelle aziende pubbliche strategiche del paese, dall’Eni all’Enel da Finmeccanica a Terna. Questa decisione dei burocrati di Bruxelles va contrastata politicamente e sul terreno del diritto. Di quel diritto dei popoli di mantenere nelle mani pubbliche quelle aziende strategiche che sono tali per i prodotti che fanno, per i brevetti che hanno e per il patrimonio di ricerca e di innovazione trasferibile all’intero sistema produttivo nazionale. Il totem del mercato e delle privatizzazioni ha già privato l’Italia negli ultimi 20 anni di una impressionante ricchezza impoverendola finanziariamente e tecnologicamente. Una storia per tutti, quella della società Avio che ci ha visti 20 anni fa anche protagonisti. Eravamo nel ’91 quando Cesare Romiti a nome della Fiat venne a chiederci la disponibilità per fondere Fiat Avio e Alfa Avio a maggioranza privata. Dopo un attento esame dicemmo no per la grande differenza di valore tecnologico che aveva l’Alfa Avio, società pubblica controllata dalla Fin meccanica. Poco dopo vennero i cosacchi del giustizialismo, la finta rivoluzione liberale e la fusione tra Fiat Avio e Alfa Avio fu fatta nello spazio di un mattino. Naturalmente a guida Fiat. Otto anni dopo, nel 2003, la casa torinese vendette la società Avio nata da quella fusione al fondo d’investimenti americano Carlyle guidato dall’amico Marco de Benedetti con la Finmeccanica che ritornò nell’azienda al 30%. Passarono pochi anni e nel 2006, secondo la naturale "missione liberale" dei fondi d’investimento, Carlyle decise di portare a casa una cospicua plusvalenza e così vendette l’intero pacchetto azionario, compreso il 30% di Finmeccanica, al fondo Cinven con un profitto di oltre un miliardo di euro. Finmeccanica rinunciò al suo diritto di prelazione su input governativo salvo poi ricomprare dallo stesso fondo Cinven di nuovo il 15%. Da qualche mese il fondo Cinven vuole uscire dall’Avio per guadagnare la propria fetta di quattrini e si sono fatti avanti la francese Safran e l’americana General Electric. Per scongiurare il rischio che un nuovo pacchetto tecnologico italiano fatto di brevetti e di ricercatori si trasferisca all’estero, la cassa depositi e prestiti sta tentando di comprarla per riportarla in mani nazionali, là dove era nel 1991. Una giostra, come si vede, tutta mercatista servita solo a far guadagnare a un po’ di finanzieri e di banche miliardi di euro sottraendoli al nostro paese. Negli anni ’90 storie simili se ne sono viste in grande quantità con la scusa di dover abbattere il debito pubblico. Sono state vendute aziende pubbliche per 160 miliardi di euro in questi 20 anni, il debito pubblico, però, è aumentato mentre fondi e banche d’affari hanno guadagnato cifre da capogiro nel distratto silenzio dei giustizialisti e dell’intero Parlamento. La moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto ed è per questo che scongiuriamo Mario Monti a difendere con forza e determinazione il patrimonio industriale strategico del nostro paese e invitiamo anche il nostro amato presidente Giorgio Napolitano a vigilare con altrettanta determinazione. La nostra sensazione è che si stia per scatenare una nuova grande rapina a danno del nostro paese nel mentre in Francia e Germania il pubblico controlla parte rilevante del sistema bancario e del sistema industriale strategico. La guerra tra i paesi nel terzo millennio si fa con la finanza , la ricerca e l'innovazione e con la formazione del capitale umano. L’Italia è un vaso di coccio e se non vuole diventare poco più di una colonia deve togliersi di dosso quella subalternità culturale verso un liberalismo deviato che ha prodotto un capitalismo finanziario che sta ammazzando l’economia di mercato e deve difendere l’intero patrimonio strategico industriale del paese. A Napolitano e a Monti il compito di invertire la sciagurata direzione di marcia degli ultimi 20 anni e che può essere definita un vero proprio tradimento della Repubblica.