Salari dei giovani troppo bassi
Al momento non ci sono commenti. La Banca d'Italia segue con attenzione l'andamento dei rendimenti dei titoli di Stato, la divaricazione impressionante dello spread tra i Btp e i Bund tedeschi, ma ieri il Governatore Ignazio Visco, ha glissato sull'argomento limitandosi a dire che «occorre vedere cosa succede con le misure del Governo». E comunque «per un riequilibrio strutturale e duraturo è necessario che il Paese torni a crescere». Il che significa «eliminare le barriere che si frappongono inutilmente all'attività produttiva, rimuovere i vincoli, le rendite di posizione, le restrizioni alla concorrenza e all'attività economica». La partita si gioca qui. «La scarsa concorrenza contiene i livelli produttivi e occupazionali, deprime la competitività e la capacità innovativa dell'intero sistema, frena il ricambio di un tessuto produttivo ancora troppo frammentato, impedisce ai talenti di esprimersi». Ma Visco si è detto ottimista, convinto che «l'Italia può contribuire con interventi sul piano congiunturale e strutturale». E fra le aree di intervento possibile vi sono «gli investimenti su giovani e istruzione» e il maggiore inserimento delle donne nel mercato del lavoro. Il Governatore parla quindi di uno spostamento della contrattazione a livello aziendale e di maggiore flessibilità. «I salari di ingresso nel mercato del lavoro sono oggi in termini reali su livelli pari a quelli di alcuni decenni fa» dice Visco secondo cui i giovani «che si affacciano oggi sul mercato del lavoro sembrano esclusi dai benefici della crescita del reddito occorsa negli ultimi decenni». Intervenendo al convegno nazionale Aimmf dei magistrati minorili, Visco insiste sull'importanza degli investimenti in istruzione che non solo sono «variabili chiave della nostra azione di politica economica» ma oltretutto «riducono gli incentivi a delinquere perchè ne diminuisce il guadagno relativamente a quello conseguibile legalmente». Occorre quindi superare il dualismo del mercato del lavoro «attraverso una riforma organica della regolamentazione e della protezione sociale». Il che significa «assetti della contrattazione più decentrati e flessibili». Questi possono consentire che «remunerazione e organizzazione del lavoro siano meglio calibrati sulle concrete condizioni produttive. Un'attenzione particolare va rivolta al mezzogiorno, dove le lacune strutturali sono più gravi». Secondo il numero uno di via Nazionale, «il difetto di crescita italiano è in buona parte riconducibile al ritardo e alle incertezze con cui il sistema produttivo ha risposto negli ultimi venti anni alle sfide dell'innovazione tecnologica, dell'affermarsi sulla scena mondiale di nuove economie, del deciso aumento dell'integrazione europea». L'ingresso nell'Unione europea, rileva Visco, «ha fatto venir meno gli effimeri guadagni derivanti dalla svalutazione nominale del cambio, ci ha imposto un maggior rigore fiscale per rispettare i patti europei». Ora l'Italia è chiamata a recuperare il terreno perduto e «innalzare il potenziale di crescita richiede interventi ad ampio spettro». Secondo Visco «la recessione che ha colpito quasi tutti i paesi avanzati nel 2008-09 è stata da noi più profonda che altrove». Inoltre i problemi economici che «ci riguardano sono solo in parte, però, la conseguenza della grande recessione mondiale. Hanno invece origini lontane, affondano le radici nei caratteri strutturali della nostra economia; i problemi finanziari di oggi risentono delle politiche di bilancio pubblico seguite in anni passati. Non ci si può illudere che interventi di natura macroeconomica siano in grado di ovviare a queste carenze». Per ridare slancio all'economia la ricetta è anche di «investire in conoscenza». Alla metà del decennio scorso l'investimento in conoscenza in Italia era pari al 2,4% del pil, contro una media Ocse del 4,9%. Il governatore sottolinea i ritardi italiani rispetto ai principali paesi avanzati, sia nei tassi di scolarità e di istruzione universitaria, sia nel livello delle competenze, dei giovani come della popolazione adulta. Si tratta di «questione antica», è vero, rileva il numero di Palazzo Koch, ma i numeri sono impietosi. Secondo i dati Ocse nel 2009 il 54% degli italiani di età compresa tra i 25 e i 64 anni aveva conseguito un diploma di scuola secondaria superiore, contro il 73% della media Ocse. I laureati erano meno del 15%, la metà rispetto alla media Ocse. Un'indagine sulle competenze funzionali e alfabetiche condotta nel 2003 mostra come l'80% degli italiani di età compresa tra i 16 e i 65 anni non sia in grado «di compiere ragionamenti lineari e fare inferenze di media complessità estraendo e combinando le informazioni fornite in testi poco più che elementari. Sono, in pratica», dice Visco, «analfabeti funzionali». Si tratta, rileva il Governatore, di «ritardi gravosi, ancor più in un Paese che, come il nostro, registra da tempo un deficit di crescita». È per questo che le politiche dell'istruzione «non devono semplicemente mirare a colmare i divari con le economie più avanzate. Devono ambire a invertirne radicalmente il segno».