Euro a rischio crollo. Le banche preparano il paracadute
A forza di parlarne e di inanellare una serie di errori nella gestione politica della crisi dei debiti, la possibilità che l'euro diventi materiale per collezionisti di numismatica si starebbe per avverare. Un'eventualità ancora più teorica che pratica visto il grado di interconnessione raggiunto dalle economie del mondo che, nel caso della fine della moneta unica europea, porterebbe conseguenze a cascata sull'intero odine monetario internazionale. Eppure le banche stanno già pensando all'ipotesi peggiore. A riportare la notizia è stato ieri il New York Times che in un'editoriale ha sottolineato che molti istituti di credito, tra i quali Merrill Lynch, Barclays Capital e Nomura hanno pubblicato decine di rapporti in settimana nei quali esaminano la possibilità di un'implosione dell'euro. Nel Regno Unito, addirittura, la Royal Bank of Scotland è arrivata già a studiare un piano di emergenza nel caso in cui l'impensabile diventi realtà. Mentre negli Stati Uniti le autorità di regolamentazione hanno spinto le banche, fra le quali Citigroup, a ridurre la loro esposizione verso l'area euro. Tutti i grandi gruppi bancari internazionali sarebbero in movimento tranne, spiega il quotidiano, le banche di Francia e Italia che «non stanno mettendo a punto piani di emergenza perché hanno concluso che una disintegrazione dell'area euro è impossibile». I segnali di sfiducia verso la capacità dell'Europa di tenere in piedi il suo conio unico, comunque, si moltiplicano. La Tui, il gigante del turismo tedesco, ha di recente spedito una lettera alle catene alberghiere della Grecia chiedendo che i contratti vengano rinegoziati in dracme per tutelarli da eventuali perdite se la Grecia uscisse dall'euro. Insomma non sono solo gli istituiti di credito a temere l'eurocrac. Secondo un sondaggio di Barclays Capital su mille clienti, la metà ritiene che almeno un paese lascerà l'area euro, il 35% che sarà solo la Grecia e uno su 20 pensa che tutti i paesi della periferia dell'Europa usciranno il prossimo anno. Lo scenario catastrofista ipotizzato dalla testata americana trova riscontro nei rumors e nelle indiscrezioni. Anche se per molti commentatori resta una possibilità remota. Una spiegazione razionale è arrivata dal giuslavorista della Bocconi, Stefano Liebman, secondo il quale «stanno arrivando voci da colleghi economisti o da avvocati in relazione con istituti di credito che le banche starebbero preparando un piano di emergenza per un possibile crollo dell'euro». Liebman ha però spiegato che si tratta di un'idea più sul «piano teorico» che non sul «piano concreto». «Le banche - ha continuato Liebman- si stanno preparando al disastro, e questo è sacrosanto. Ma di tratta di misure, come dire, precauzionali. Nessuno crede davvero nel disastro». Insomma sulla base di proiezioni teoriche il crollo dell'euro può anche accadere e le banche si stanno preparando a questo evento. «Ma che il disastro arrivi non lo credo affatto» ha concluso Liebman. Più scettico l'economista Giacomo Vaciago: «Il New York Times non spaventi il prossimo. Se è vero che non ho mai visto una crisi così grave, seria, che da anni va avanti producendo milioni di disoccupati, allora prendiamo in mano i problemi concreti e diciamo basta alla fantascienza monetaria» ha chiosato Vaciago che ha aggiunto «mi fa piacere apprendere che le banche facciano piani per la fine dell'euro, dopodiché si facciano piani anche per la fine del dollaro perché la moneta statunitense non reggerebbe tre giorni di più dal crollo della divisa europea». E a smontare la possibile isteria che starebbe contagiando le banche è intervenuto anche l'economista di Fli, Mario Baldassarri che ha detto: «Spero che lo scenario avanzato dal New York Times rimanga nel girone delle follie dell'umanità, ma se le leadership politiche non governeranno i fenomeni economico-finanziari allora si corre davvero il rischio che i terremoti accadano». «È assurdo e paradossale» che possa crollare l'eurozona, ha ribadito ma per scongiurare tutto ciò, «serve un governo forte, una leadership forte». Il problema per Baldassarri «è allora capire quando l'euro è forte e quando non lo è». «E l'euro - ha spiegato - è forte quando l'area euro è forte ed è debole quando l'eurozona è debole. Ciò fa evidenziare un paradosso evidente sul cambio» della divisa europea. «Abbiamo avuto - ha aggiunto Baldassarri - un cambio a 1,40 sul dollaro e si annunciava che l'euro era forte, poi c'è stato il calo a 1,20 e si diceva che l'euro era debole. In realtà era il contrario. Il super euro ha infatti indebolito l'area euro perché la differenza fra un euro a 1,40 e un euro a parità sul dollaro è significato il 2% in meno di crescita di tutta l'area euro». In altre parole, argomenta Baldassarri, «abbiamo regalato competitività agli Usa e alla Cina». Il problema è sempre quello: la svalutazione dell'euro. Il niet dei tedeschi alla discesa della moneta unica è la vera discriminante di questa crisi. È semplice ma la politica europea ancora non lo ha capito. Oppure fa finta di non capire.