Dell'Utri indagato per la trattativa Stato-mafia
Una storia lunga, intricata, che si arricchisce periodicamente di colpi di scena e rivelazioni. L'ultimo è arrivato ieri con l'iscrizione nel registro degli indagati di Marcello Dell'Utri. L'inchiesta, condotta dalla procura di Palermo, è quella che riguarda la presunta trattavia tra Stato e mafia subito dopo le stragi del 1992. Dell'Utri, ex manager di Publitalia, tra i fondatori di Forza Italia e attualmente senatore del Pdl, sarebbe indagato di attentato a Corpo politico, amministrativo o giudiziario, reato previsto dall'articolo 338 del codice penale. Un crimine contestato anche al generale Mario Mori e al suo braccio destro al Ros Giuseppe De Donno, pure loro finiti nella difficile inchiesta dei pm che stanno cercando di ricostruire gli anni in cui parte delle istituzioni sarebbero scese a patti con i boss. La loro iscrizione nel registro degli indagati risalirebbe a circa un anno fa. Il coinvolgimento nell'inchiesta dell'esponente del Pdl, già condannato a 7 anni in appello per concorso in associazione mafiosa, dimostra che per la Procura la trattativa sarebbe andata ben oltre il 1992, l'anno delle stragi in cui vennero uccisi i giudici Falcone e Borsellino. L'ennesimo capitolo della storia dei patti suggellati tra mafia e politica sarebbe stato scritto dopo gli echi delle bombe scoppiate a Roma, Firenze e Milano - seguite dalla revoca di 41 bis per centinaia di capimafia - quando un siciliano, Marcello Dell'Utri, si sarebbe offerto come garante politico degli interessi di Cosa nostra. Dall'altra parte del tavolo ancora il boss Bernardo Provenzano che, in nome dell'accordo stretto, avrebbe assicurato il sostegno elettorale della mafia al partito dell'ex premier Silvio Berlusconi. «Accuse assolutamente infondate e apodittiche», commenta l'avvocato Giuseppe Di Peri, legale del parlamentare. Mentre lo stesso Dell'Utri, contattato dall'Adnkronos, non ha dubbi: «Io indagato? È veramente allucinante. La Procura ha fatto una grande insalata russa, per quanto mi riguarda i magistrati stanno pestando l'acqua nel mortaio. È una cosa inesistente solo a pensarla. Tutta questa vicenda è veramente allucinante». L'ombra della trattativa tra lo Stato e la mafia, cominciata dopo la morte del giudice Giovanni Falcone tra i carabinieri di Mori, forti di una solida garanzia politica, e l'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, longa manus prima di Totò Riina, poi di Bernardo Provenzano, sarebbe proseguita, dunque, nel tempo con protagonisti diversi. Il figlio di Ciancimino, Massimo, testimone dalle alterne vicende giudiziarie attualmente ai domiciliari per calunnia, ha fatto per primo ai pm il nome di Dell'Utri nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa e ha raccontato nel processo al generale Mori, imputato di favoreggiamento mafioso, di avere saputo dal padre di stretti rapporti tra il senatore azzurro e Provenzano. Don Vito avrebbe riferito al figlio che sarebbe stato proprio Dell'Utri, con l'avallo del boss di Corleone, a sostituirlo nella conduzione della trattativa.Ultimo, in ordine di tempo, a parlare del politico è stato il pentito Stefano Lo Verso che di Provenzano avrebbe raccolto sfoghi e confidenze. «Dell'Utri si mise in contatto con i miei uomini - avrebbe rivelato il capomafia al suo "picciotto" - e sostituì di fatto l'onorevole Lima nei rapporti con la mafia. Per questo nel 1994, a seguito degli accordi che abbiamo raggiunto, ho fatto votare Forza Italia». Proprio queste accuse, assieme ai pizzini prodotti da Ciancimino e da lui attribuiti a Provenzano, hanno portato la Procura a iscrivere il senatore Pdl tra gli indagati.