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La seconda caduta del muro di Berlino

Un operatore della Borsa di Francoforte

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Tecnicamente fallita»: i traders, e tra le righe le istituzioni ufficiali, non hanno dubbi nel definire l'asta di ieri dei Bund, i titoli decennali tedeschi. Su 6 miliardi offerti solo 3,644 sono stati collocati, al rendimento dell'1,98. Il 39 per cento è finito «in ritenzione», termine pudìco che significa che è stato rifiutato dal mercato e messo nella cassaforte della Bundesbank. Infatti nella rigorosissima Germania non esiste, come è da noi, il divieto per la banca centrale di assorbire in asta i titoli di stato. Divieto che il governo tedesco impone anche alla Bce, impedendo di trasformarla nella famosa prestatrice di ultima istanza garante dell'euro. Non è peregrino sottolineare il ruolo della Bundesbank nell'asta di ieri: se non fosse intervenuta a copertura, il Tesoro tedesco avrebbe dovuto aumentare il rendimento. Di quanto? Secondo i calcoli di circa 20 punti base, cifra che si colloca alla metà dello scoperto. Dunque i Bund avrebbero dovuto essere offerti intorno al 2,3 per cento; lo 0,21 in più dell'asta precedente. Un tasso più alto dei T-Bond americani, che viaggiano tranquilli nonostante debito e deficit degli Usa. Come mai? Semplice: la Federal reserve ne garantisce la tenuta. Mentre l'euro è paralizzato da veti e paure. L'Icap, broker mondiale basato a Londra, ha commentato: «Quello tedesco è un risultato orribile». Carl Heinz Daube, direttore dell'Agenzia del debito di Berlino, ha ammesso: «Vediamo mercati estremamente nervosi». Più banalmente la Germania si sta misurando contro due dati di fatto. Primo: tassi inferiori al 2 per cento non coprono lontanamente l'inflazione stimata da Eurostat al 3 per cento, a fronte di prezzi destinati a svalutarsi senza la garanzia di una vera banca centrale. Secondo: le banche private europee, tra fuga spontanea dal rischio e vincoli imposti dall'asse franco-tedesco, si sono riempite di Bund. Il cosiddetto flight to quality non sa più dove volare. La Germania, nel suo tentativo di finanziare a costo zero il proprio debito, ha tirato troppo la corda. Inoltre il fallimento dell'asta tedesca segue quelli di Spagna e Francia; quanto all'Italia, le nostre aste vengono coperte solo a prezzo di rendimenti proibitivi. Il dato peggiore, per noi, è che i titoli a due e cinque anni pagano meglio di quelli a dieci: più che la volatilità i mercati temono dunque il rischio immediato. Così per il fiasco di Berlino c'è poco da festeggiare. Anche perché altre brutte notizie giungono dall'economia globale. Ne elenchiamo alcune. Il Belgio, co-azionista con la Francia della Dexia, la banca fallita due volte nonostante l'iniezione di capitali pubblici post Lehman Brothers, non potrà partecipare ad un nuovo salvataggio. Nuovamente senza governo e con la febbre da debito e spread, i belgi sono comunque un bersaglio minore: tirandosi indietro, l'onere della ricapitalizzazione piomba interamente su Parigi. Con l'Eliseo sempre più accerchiato: dallo spread, dal problema delle banche, dalla minaccia di declassamento di Moody's, da una manovra aggiuntiva già richiesta dall'Unione europea, dalle elezioni 2012 alle quali Nicolas Sarkozy si presenta ai minimi del consenso e dei margini d'azione. La Cina non appare più la macchina da guerra degli ultimi anni: l'indice dell'industria manifatturiera è sceso ai livelli 2009, il Pil è in flessione, e a Pechino e Shangai stanno stringendo i portafogli. Quanto agli Usa, è il rewind dell'estate scorsa: la supercommissione del Congresso non ha trovato l'accordo sui tagli di bilancio che a loro volta dovrebbero ridurre un debito monstre di 14.671 miliardi di dollari, ormai il 100 per cento del Pil. I termini dello scontro non sono cambiati: maggiori tasse chieste dai democratici, minori spese dai repubblicani. Senza accordo scatteranno tagli automatici per 1.200 miliardi di dollari, per metà a carico del Pentagono. Gli Usa perderanno sempre più lo status di potenza strategica, senza che neppure siano state mantenute le promesse di Obama sulla sanità, il risparmio, i disoccupati. Un bilancio in rosso per le presidenziali del novembre 2012. Quali effetti avrà tutto questo per l'Europa e per l'Italia? Oggi Mario Monti incontra Angela Merkel e Sarkozy. Dovrebbe riproporre gli Eurobond, stavolta spalleggiato dalla Commissione di Bruxelles. La Germania si oppone strenuamente, Parigi è forse possibilista. Tutti sperano in una seconda caduta del muro di Berlino: ma la Germania potrebbe coltivare un piano B, di fondatrice di un super-euro, un nuovo marco allargato, mollando noi latini al nostro destino. L'idea che i problemi dell'Italia si risolvano altrove è quindi un'illusione. I dati del Fmi mostrano un mondo seduto su 52 mila miliardi di dollari di debiti: oltre il 50 per cento in più dall'inizio della crisi. In valori assoluti, l'80 per cento del Pil del pianeta. E con pochi ricchi sempre meno disposti a comprare i debiti altrui. Uno scenario da credit crunch globale, che in passato si sarebbe risolto con il più tipico dei rimedi: una guerra.

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