La Casta contro le foto che la svergognano
I deputati non gradiscono essere fotografati alla Camera. Non gradiscono che gli obiettivi scoprano che cosa scrivono nei biglietti che si scambiano tra di loro, non gradiscono che colgano le informazioni che appaiono sui cellulari, non gradiscono che siano svelati inciuci e retroscena. Così hanno fatto pressioni sul presidente della Camera per lasciare i fotoreporter fuori da Montecitorio. Al massimo, è stata la loro indignata richiesta, se ne autorizzi solo uno, quello che sarebbe diventato il fotografo ufficiale della Camera. I cui scatti avrebbero dovuto ovviamente rappresentare solo la faccia presentabile dell'Aula, quella che non crea polemiche, discussioni. Gianfranco Fini però, stavolta, ha detto di no. Ha spiegato ai suoi colleghi «indignati» che «i deputati sono personaggi pubblici e l'Aula è un luogo pubblico, equiparabile ad una piazza, per cui non si può evitare che venga fotografato, ad esempio, un deputato che dorme sul banco o che si metta le dita nel naso». Ha concesso però di arrivare ad una stretta per quel che riguarda le comunicazioni tra i parlamentari: «Intercettare le comunicazioni in qualsiasi modo – ha spiegato – non può essere permesso». E alla fine, dopo aver consultato i 40 reporter che normalmente seguono le sedute della Camera, è stato deciso di far costituire un'Associazione dei fotografi parlamentari, che adotti un codice di autoregolamentazione concordato con la Camera per la tutela della privacy dei soggetti ripresi, garantendo la riservatezza delle comunicazioni tra parlamentari e membri del governo. La delibera è passata a maggioranza con l'astensione di Antonio Leone (Pdl) e Giacomo Stucchi (Lega). Chi continuerà a fotografare «pizzini» «non essenziali per l'informazione sullo svolgimento dei lavori parlamentari», si vedrà ritirare l'accredito di Montecitorio. I fotografi, in compenso, potranno scattare non solo dalla tribuna attualmente ad essi dedicata (da dove si «sorveglia» solo il centrodestra) ma anche da altre angolazioni. La richiesta di «bendare» gli obiettivi dei fotografi è stata assolutamente bipartisan. I primi ad arrabbiarsi, però, sono stati gli esponenti del Pdl quando, nella fiducia del 14 ottobre, venne fotografato il display del cellulare di Denis Verdini con tutte le chiamate fatte ai deputati per convincerli a votare a favore del governo. A Gianfranco Fini arrivarono proteste furibonde, reclamando sanzioni e sospensioni dei fotografi «cattivi». Ma non se ne fece nulla. E soprattutto rimase in silenzio il centrosinistra e il Pd. Ma non per molto. Venerdì scorso l'obiettivo di un fotografo coglie un bigliettino che Enrico Letta manda in aula al premier Mario Monti con la disponibilità a «trattare» sulle nomine di sottosegretari e viceministri. Esplode la polemica e stavolta è il partito Democratico a fare fuoco e fiamme per mettere in qualche modo il bavaglio ai fotoreporter. E a questo punto, visto che la protesta veniva dai due maggiori partiti del Parlamento, la sanzione in qualche modo è arrivata. Ma anche se molto «annacquata» rispetto alle richieste dei deputati ha fatto comunque discutere. È stata ad esempio apprezzata dal Garante per la Privacy «alla luce della dichiarazione del presidente della Camera che riconosce la necessità di salvaguardare la pubblicità dei lavori parlamentari e quindi il diritto all'informazione che è strettamente connesso». «Soddisfatta» anche l'Associazione stampa parlamentare, soprattutto per la decisione della Camera «di non procedere a sanzioni in seguito agli episodi che hanno indotto diversi deputati a sollevare il problema della compatibilità tra diritto di cronaca e diritto alla privacy». Ma la lista degli scontenti è lunga. Per il presidente dell'Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino il fatto «che l'adozione di un codice di autoregolamentazione vada concordato con la Camera non va affatto bene». Mentre il presidente della Fnsi Roberto Natale invoca una «vera autoregolamentazione, affidata cioè alla responsabilità dei colleghi». Perché, spiega il leader del sindacato dei giornalisti, la privacy «va invocata a proposito», e non per il biglietto di Monti o, ad esempio, per il deputato che guarda le escort sull'i-Pad. Addirittura furioso il vicepresidente della camera Antonio Leone, del Pdl, a cui piacerebbe sbarrare le porte dell'aula ai fotoreporter. «D'accordo che la Camera è un luogo pubblico – protesta – ma questo non esclude il diritto alla privacy dei parlamentari. La cosiddetta regola di comportamento per i fotoreporter approvata a maggioranza è un compromesso, comprese le ipotetiche sanzioni. Una volta pubblicata sui giornali l'opera non autorizzata di un fotografo, sarà quasi impossibile individuarne l'autore, se non in presenza di un accusatore. Ma questo non potrà avvenire facilmente: anche i fotografi sono soggetti all'obbligo di riservatezza sulla fonte, compreso l'autore di un'immagine non consentita. Inoltre, mentre da varie parti si invoca l'abolizione degli ordini, se ne propone uno per i fotografi della Camera».