La conquista islamica del Nord Africa
La primavera araba cerca la svolta nelle urne. Per ora le violenze di piazza Tahrir non fanno intravedere nulla di buono. Le rivolte di marzo hanno cambiato il volto del Nord Africa e ora, dopo la Tunisia sono Marocco ed Egitto a cercare nelle urne il cambiamento. Con ragioni diverse, per entrambi i Paesi sarà un test molto delicato. Dopo la vittoria in Tunisia del partito Ennahada, di ispirazione islamica, si prospetta una vittoria dei movimenti «confessionali» in tutto il Nord Africa: dall'Egitto al Marocco passando per la Libia. Con sfumature diverse, dopo la caduta dei regimi, sono apparse sigle che si richiamano alla Fratellanza Musulmana fino a quelle più estremiste, vicine all'ideologia salafita, che propugnano uno stato fondato sulla sharia e altre che sono espressione di un velato jihadismo. Il primo ad andare al voto, venerdì, è il Marocco. Meno di cinque mesi dopo il referendum del primo luglio sulla nuova Costituzione, proposta da Mohammed VI proprio mentre i regimi dei Paesi confinanti venivano spazzati via dalle rivolte popolari. La riforma ha cercato di rendere più democratico il regno hashemita, rafforzando Parlamento e primo ministro. Il futuro premier, dopo il voto e per la prima volta, sarà indicato dal re sulla base delle indicazioni degli elettori: sarà infatti il leader del partito che avrà raccolto più voti. Il Paese mostra una congenita apatia verso il voto: nel 2007 l'affluenza si fermò al 37 per cento, ma in questa tornata una parte dei partiti ha fatto campagna elettorale per boiccotare il voto. Sono in gran parte i partiti di opposizione - islamici fondamentalisti, i movimenti giovanili e gli attivisti di sinistra - a lanciare appelli sui social network per disertare le urne. La sfida è che al voto vadano gli stessi elettori che si espressero per il referendum sulla Costituzione circa il 73 per cento. Una trentina i partiti in lizza per i 395 seggi nella Camera Bassa: 70 in più rispetto al 2007, tutti riservati a donne e giovani. Sono tre le formazioni che faranno i giochi: una coalizione molto eterogenea di otto partiti, l'Unione Nazionale di Indipendenti; il partito nazionalista storico di Istiqlal, al potere dal 1996; e gli islamici moderati di Giustizia e Sviluppo (Pjd), principale partito di opposizione. Islamico moderato, il partito Giustizia e Sviluppo, attualmente ha 47 deputati in Parlamento, e non è mai stato al governo e, con il tema portante della lotta alla corruzione, appare il grande favorito delle elezioni. Punta a conquistare 70-80 seggi così da piazzarsi come primo partito. Nel programma e nelle dichiarazioni ufficiali i suoi esponenti hanno, inoltre, voluto più volte ribadire la loro natura moderata, arrivando a precisare che, anche se dovessero ottenere la maggioranza dei voti, lavoreranno a una coalizione con tre formazioni laiche, tra cui il partito Istiqlal dell'attuale premier, Abbas al-Fassi. In Tunisia Ennahada ha ottenuto il 40 per cento dei consensi, in Marocco il Pjd si avvia a raggiungere lo stesso risultato così come i sondaggi in Egitto danno i Fratelli Musulmani per favoriti il 28 novembre. Tutti i partiti di ispirazione islamica hanno tratto profitto dalla crisi economica e dalla lotta alla corruzione endemica in certi regimi. Il nuovo Egitto dovrebbe ripartire dalle elezioni, le prime del dopo-Mubarak: e lo farà con un meccanismo complicatissimo, in diverse tornate elettorali. Uno dei motivi scatenanti delle rivolte di queste ore. Gli elettori dovranno scegliere tra oltre 6.700 candidati, in rappresentanza di 47 partiti politici, molti dei quali nati solo sopo la cacciata di Hosni Mubarak. Prima voteranno per la Camera bassa in tre tornate diverse, a partire dal 28 novembre nell'arco di sei settimane. Poi, sempre in tre diversi turni, per il Consiglio della Shura. Solo dopo la riscrittura della Costituzione, in teoria tra marzo e aprile, si andrà finalmente al voto per eleggere il presidente della Repubblica. Nello schieramento di destra scenderà in campo il partito Al Nour, registrato dopo la Rivoluzione del 25 gennaio, di ispirazione islamico-salafita. A sinistra, invece, troviamo il Partito arabo, democratico, nasserista e laico. Sono nati invece tra il 2004 e il 2006 due gruppi liberali denominati Partito Repubblicano libero e il Partito Costituzionale sociale libero. Risale al 1978 il Nuovo Partito al-Wafd mentre è recente il Partito per lo Sviluppo e il Progresso. Dopo la rivoluzione è sorto anche il Partito egiziano per la Libertà e risale al 1977 il Partito dei Liberali. Troviamo tra le liste presentate anche il Partito di Giustizia e Libertà, che fa capo ai Fratelli Musulmani e che è considerato tra quelli che potrebbero vincere la competizione elettorale. Tra i partiti di sinistra troviamo invece il Partito dei Verdi, il Partito della Giustizia e il Partito nazionale al-Wifaq. Tra le liste di sinistra troviamo, infine, il Partito della Nazione, quello di estrema sinistra denominato Alleanza delle forze socialiste e il Blocco egiziano, un cartello composto da piccole formazioni di sinistra. L'ultima delle liste ammesse è quella islamica nazionalista dell'Alleanza democratica per l'Egitto. Gli avvenimenti di queste ore sono espressione di un rischio tangibile: dalle urne potrebbe uscire un Parlamento dove le forze sociali che hanno spazzato il regime di Mubarak non saranno rappresentate. Fratelli musulmani e frange di quello che fu l'ex partito di regime, il Partito nazionale democratico, ufficialmente impresentabile: ma, di fatto, gli esponenti sono infilitrati in molti partiti e sederanno nel parlamento cairota. Resta, poi, l'incognita militari che gestiscono la transizione. Il generale Hussein Tantawi, capo del Consiglio Supremo delle Forze Armate, potrebbe candidarsi alle elezioni presidenziali.