Asta flop per i Bund. Berlino trema
Anche la solida Germania che ha sempre sbattuto la porta in faccia a tutte le possibili soluzioni proposte per salvare l'euro, dagli Eurobond alla trasformazione della Bce in prestatore di ultima istanza (che equivale a stampare moneta senza limiti) ieri ha tremato. I Bund, punto di riferimento dei mercati internazionali, per dare un prezzo al rischio di quelli emessi dagli altri paesi europei da ieri sono meno amati di quanto non lo fossero nel passato. La tendenza a rifugiarsi nel porto sicuro offerto dai titoli tedeschi decennali ha fatto scendere il rendimento talmente tanto, sotto il 2%, che i bund non attraggono più. E ieri è arrivato il dietrofront degli investitori nell'asta sui titoli con scadenza gennaio 2022. Berlino è riuscita a collocare solo 3,644 miliardi di euro contro un obiettivo di sei miliardi, costringendo la Bundesbank a tenersi il resto. Un esito «allarmante» secondo Ewald Nowotny, consigliere direttivo della Bce. E per alcuni analisti è il segno che la crisi del debito sta contagiando anche l'economia più forte d'Europa. Non poteva essere altrimenti. La difesa strenua del cambio supervalutato dell'euro da parte di Berlino contro il dollaro non ha più ragione di essere. Eppure è diventata la bandiera ideologica della Merkel. Che comincia però a pagare la testardaggine a non consentire una svalutazione competitiva della moneta unica che non è una cessione di sovranità monetaria ma solo l'accettazione di un'evidenza economica: il valore dell'euro non corrisponde più alla realtà economica dell'Eurozona. Gli spread impazziti ne sono la più cruenta testimonianza. Se il cambio resta rigido, ancorato a valori difesi a suon di scambi sul mercato finanziario e non di richieste di valuta dell'economia reale, le differenze tra le diverse economie di Eurolandia, non potendosi scaricare sugli aggiustamenti del cambio, si esprimono con l'aumento degli spread tra i vari titoli di debito. Insomma tutto in economia ha una ragione concreta. Gli operatori seguono algortimi matematici che replicano la realtà. Se l'euro non si svaluta le tensioni sono assorbite dai debiti sovrani. Semplice per gli economisti, meno per la Merkel. Che ieri ha però ricevuto un altro segnale che dovrebbe almeno spingerla a valutare un cambio di rotta. Si tratta dei nuovi segnali di possibile recessione tra le imprese nell'area euro. A settembre gli ordinativi dell'industria sono crollati del 6,4%, secondo Eurostat. Un ulteriore rafforzamento della tesi che vede nell'euro forte la cinghia di trasmissione delle tensioni finanziarie all'economia reale. Se l'Europa si ferma, gli elettori imprenditori di Frau Merkel devono trovare mercati alternativi per il mastodontico export tedesco. E in tempi come questi con il rallentamento dell'economia cinese, le merci rischiano di restare stoccate sulle banchine dei porti del Nord Europa. Tutto questo retroterra spiega l'ennesima giornata nera per i mercati dei titoli di Stato europei. Oltre al fallimento dell'asta di Bund, si sono aggiunti i timori per Belgio e Francia per la possibile crescita dell'onere per salvare la banca Dexia. Tensioni che sono rimbalzate inevitabilmente sui Btp italiani, con il due anni che ha pagato oltre il 7% e segnato uno spread record di 700 punti base. A poco è servita la «rete di sicurezza» annunciata dal Fmi con l'evidente scopo di impedire una fuga di investitori dall'Europa: il braccio di ferro fra Bruxelles e Berlino sull'ipotesi degli eurobond ha innescato una fuga dal rischio dei Paesi «periferici». Eppure l'Agenzia del debito tedesca ha parlato genericamente di un mercato «nervoso» e confermato le tre aste rimanenti da qui a fine anno. Standard&Poor's ha però avvertito che l'area euro rischia una recessione, che a sua volta potrebbe peggiorare i rating di alcuni Paesi. Fitch ha avvisato la Francia: rischia la sua «tripla» se dovesse peggiorare lo scenario macroeconomico. Manca solo un tassello. Qualcuno ora guarda anche a una delle A di Berlino. Achtung.