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Trionfo in Spagna dei popolari di Rajoy

Mariano Rajoy dopo la vittoria nelle elezioni spagnole

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Era previsto, ma i numeri sono pesanti come macigni: la Spagna volta pagina e torna al centrodestra. In ginocchio dopo un anno di giri di vite antideficit, sull'orlo del precipizio del debito, sotto l'attacco della speculazione, con un esercito di 5 milioni di disoccupati, il Paese ieri ha calato il sipario sull'era Zapatero e dato il potere con una maggioranza assoluta in Parlamento a Mariano Rajoy, capo dell'opposizione e leader del Partido Popular. Il suo raggruppamento ha conquistato la maggioranza assoluta nel Congresso dei deputati di Madrid secondo i dati praticamente definitivi (99%) del Ministero degli Interni, con 186 seggi su 350 e il 44,6% dei consensi. Il Psoe di Alfredo Rubalcaba ottiene il 28,7% e 110 seggi, il suo peggiore risultato dalla fin del franchismo. Insomma, il Psoe di Alfredo Rubalcaba, 60 anni, l'erede di Josè Luis Zapatero, che non si ripresentava dopo sette anni al potere, esce umiliato dalla giornata elettorale. E in questo modo, il Pp si affaccia su un potere quasi assoluto nel Paese. Controlla già quasi tutte le regioni, le città più importanti meno Barcellona, e con la maggioranza assoluta in Parlamento può governare da solo, a Madrid, senza negoziare appoggi. Rubalcaba, nominato candidato premier del Psoe in sostituzione di Zapatero in luglio, non è riuscito a salvare i socialisti da una storica sconfitta, zavorrato dalla pesante eredità economica lasciata da Zapatero, di cui è stato, fino a luglio, vice-premier e ministro degli Interni. Dell'emorragia dei voti degli ex-elettori socialisti delusi dallo «zapaterismo» hanno beneficiato quasi tutti gli altri partiti: a sinistra Izquierda Unida, passa da 2 a 11 deputati, i nazionalisti catalani di Ciu da 10 a 16, il partito centrista Upyd di Rosa Diez sale da 1 a 5 deputati. Nei Paesi Baschi la grande novità del voto è la forte affermazione del sinistra radicale indipendentista - assente alle politiche del 2008 - che con Amaiur entra in Parlamento con 7 seggi. È la risposta degli elettori all'annuncio dell'addio alla lotta armata dell'Eta il mese scorso. Il Pnv passa da 6 a 5 seggi mentre l'Erc ne conferma 3. Rajoy diventerà formalmente il nuovo premier spagnolo, dopo la costituzione delle Cortes, attorno al 20 dicembre. Avrà il difficile compito di cercare di ripristinare la fiducia dei mercati nell'economia del Paese e allontanare lo spettro di un pericoloso salvataggio internazionale, dopo Grecia, Irlanda e Portogallo. Negli ultimi giorni prima del voto ha garantito che il suo governo rispetterà tutti gli impegni presi da Zapatero con l'Ue, in particolare quello di riportare al 4,45 il deficit nel 2013. Rajoy ha annunciato una politica di austerità, «tagli ovunque meno che per le pensioni», riforme strutturali per risanare le finanze del paese e allontanarlo dalle secche della crisi del debito. Il vincitore delle elezioni spagnole sa che non disporrà di un «periodo di grazia» e che dovrà agire rapidamente. Già nei prossimi giorni potrebbe indicare il nome del suo ministro dell'Economia, istituire un «pre-governo» che avvii la transizione con il governo del premier Zapatero. «Siamo davanti a un momento decisivo per la Spagna. Il nuovo governo dovrà gestire la congiuntura più delicata che il Paese abbia conosciuto negli ultimi 30 anni. Abbiamo davanti a noi un compito immenso: non ci saranno miracoli. Voglio ridare agli spagnoli l'orgoglio di esserlo», ha deto ieri sera Rajoy dal balcone del palazzo alle migliaia di militanti in festa riuniti per strada e che intonavano «Viva Espana». Ex icona del socialismo europeo, Josè Luis Zapatero rimarrà in carica per gestire gli affari correnti per 4 settimane. Poco prima di Natale consegnerà le chiavi della Moncloa al suo successore e, a 51 anni, si ritirerà dalla politica attiva, come sei mesi fa il portoghese Josè Socrates, l'ex-premier socialista sconfitto alle politiche anticipate di giugno. Zapatero è il quinto capo di governo dei paesi della periferia dell'Eurozona, i Piigs, a cadere dall'inizio dell'anno. Prima di lui sono stati vittime della crisi e dei mercati l'irlandese Brian Cowen, in Portogallo Socrates, in Grecia Papandreou e, ultimo, in Italia Silvio Berlusconi. A 51 anni Zapatero lascerà la Moncloa, il palazzo delle presidenza del governo spagnolo, e la politica attiva - non è candidato al Parlamento - verso il 20 dicembre, quando entrerà in carica il suo successore. Rubalcaba, vicepremier di Zapatero, ministro degli interni e portavoce del governo fino a luglio, quando è stato indicato candidato premier dei socialisti, ha viaggiato da allora nei sondaggi a fra 15 e 18 punti dal candidato del Partido Popular (circa 30% a 45%). Il Psoe archivia con i risultati di ieri sera una pesante sconfitta e scende a un minimo storico dalla fine del franchismo con circa 110 deputati su 350. «Il Paese è a un crocevia storico, i prossimi quattro anni sono molto importanti per il nostro futuro», aveva detto ieri mattina il candidato socialista. Così, sette anni dopo l'imprevisto trionfo di Josè Luis Zapatero a Madrid, che l'anno dopo aveva ispirato la vittoria di Josè Socrates a Lisbona, l'Iberia cara a Josè Saramago ritrova l'unità quantomeno nella politica: dopo il Portogallo anche la Spagna è tornata nelle mani di un governo di centrodestra. Quella di una fusione fra le due sorelle iberiche era stata nel 2007 una delle ultime grandi proposte del Nobel di letteratura morto l'anno scorso. La nuova entità, aveva allora proposto lo scrittore portoghese, 84 anni, sposato con una spagnola, avrebbe potuto chiamarsi «Iberia». «Non c'è bisogno di essere un profeta per prevedere che ci integreremo» affermava lo scrittore, sostenendo che la fusione con la Spagna sarebbe un'evoluzione «naturale».

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